Dalla tradizione del ceppo bruciato, da quella dalla gallina spennata alla vecchia donna definita “pagana”, sono molte le tradizioni comuni di queste due aree geografiche.

Come ormai dovrebbe essere chiaro ai lettori dei lavori presentati in questo sito, le tradizioni popolari non conoscono confini territoriali; seguono le migrazioni dei popoli, gli spostamenti degli eserciti, le vie commerciali, i documenti scritti di qualche autore (magari riportati come semplice curiosità) ma che finiscono poi per attecchire in aree diverse da quelle di origine. 

I paesi baltici vantano un’antichissima tradizione culturale, anche se poco conosciuta alla maggioranza del grande pubblico (ed anche agli stessi appassionati di queste materie) probabilmente a causa della non-centralità politica e sociale, nella storia dell’evoluzione europea, di questa parte del mondo. Tale tradizione si è mantenuta a lungo nel tempo in quanto la cristianizzazione dei paesi baltici è avvenuta molto tardi rispetto al resto dell’Europa, così che ancora nel XVIII secolo le antiche divinità pagane godevano di un culto molto diffuso tra la popolazione delle campagne.

Fonti del XVI e XVII secolo forniscono ampie descrizioni delle credenze e dei rituali, così come il materiale archeologico e folclorico, in cui non è difficile riconoscere residui di antiche credenze pagane.

Una lettera inviata nel 1587 dal vescovo Merkelis Giedraitis al Generale dei Gesuiti descrive efficacemente il retaggio ancora conservato dall'antica religione dei balti alla fine del XVI secolo: In quasi tutta la nostra diocesi è assai difficile trovare qualcuno che si confessi e si comunichi, che dica le preghiere (il Pater Noster) o che sappia fare il segno della croce. Nessuno conosce i misteri della nostra fede cristiana. Fanno invece sacrifici a Perkunas, adorano i serpenti e venerano come sacre le querce. Offrono cibo ai defunti e compiono molti altri gesti strani: lo fanno più per ignoranza che per malvagità[1].

Solo nel “900 apparvero i primi studi condotti in maniera scientifica[2], ed è proprio dai lavori di una delle più importanti studiose di questa cultura che si possono trarre le considerazioni che seguono.

L’archeologa e storica della cultura lituana Marija Gimbutas (1921 – 1994) è nota soprattutto per la teoria in cui sostiene la prevalenza, in tempi antichissimi, del matriarcato sul patriarcato; su questa tesi ha pubblicato testi così famosi nel mondo[3] da essere ritenuta una delle più importanti sostenitrici del femminismo moderno.

In realtà si fa un grave torto a limitare la sua pur meritata fama solo a questi lavori, dato che è anche autrice di interessanti pubblicazioni sulle tradizioni e sulle religioni dei paesi baltici[4]. Proprio in alcuni di questi suoi primi lavori[5] si possono rintracciare dei collegamenti tra la cultura baltica, poco conosciuta al grande pubblico, con quella, più nota, dell’Europa occidentale.

A cominciare dal dio più importante del pantheon baltico, il dio Dievas, che secondo le ipotesi della studiosa lituana, partendo dal protoindoeuropeo Dyēus (dalla radice * deiwo- o deiuos) conduce al greco Zeus, e da Diespiter al latino Deus Jupiter.

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Perkunas, il dio lituano del tuono.

Sempre con considerazioni basate sulle sue conoscenze del sanscrito e sull’analisi comparativa dei vari linguaggi antichi (che qui non riportiamo per non appesantire la trattazione con valutazioni complesse, ma che si possono prendere in esame esaminando i suoi scritti originali) traccia interessanti paragoni, come quello della lituana Laima, dea del destino, associabile alla greca Ananke e alla latina Fortuna. L’animale sacro a Laima era l’orsa, che sappiamo aver avuto un ruolo importante anche nelle tradizioni celtiche; il parallelo della Vesta romana e della greca Hestia era la dea della famiglia e del fuoco domestico Motina Gabzja; così come Gabjaujis (o Jagaubis) viene presentato come corrispondente al dio Vulcano dei Romani. Le caratteristiche delle divinità femminili greche e romane delle acque si ritrovano nella lituana Laume. Con Perkunas, il dio del tuono, le similitudini si riscontrano soprattutto nelle divinità nordiche germaniche e norrene, da Wotan a Thor.

La Gimbutas non manca di far notare che le contaminazioni sono avvenute, naturalmente, anche in senso contrario, ed analizza come, con l’evangelizzazione cristiana dei paesi baltici, il dio Dievas si identificò con San Giovanni Battista, diventando Jonas o Janis e, a volte, con San Giorgio (lituano ]urgis). Ancora oggi il giorno di San Giovanni è la festa principale dell'anno in Lituania.

Ipotizza persino che una divinità lituana come Mara Magdalena abbia buone probabilità di pervenire dalla cristiana Maria Maddalena.

Passando ad esaminare l’area geografica che più ci interessa è possibile riscontrare diverse connessioni con le tradizioni della Romagna.

I ceppi che durante l'inverno venivano trascinati attraverso il villaggio e poi bruciati nelle case dei contadini hanno un riscontro con lo stesso ceppo che veniva fatto bruciare nei focolari delle campagne romagnole l’ultima notte dell’anno, e le cui ceneri venivano poi sparse nei campi per propiziarne la fertilità; i contadini lituani usavano i resti carboniosi del ceppo per tracciare simboli propiziatori anziché utilizzarne la cenere, ma il collegamento è inequivocabile. Si tratta indubbiamente di un rito precristiano, come è intuibile dal fatto che fu il Natale cristiano ad assumere il nome (kalėdos) del termine lituano "sera del ceppo"[6].

Tra i riti che riguardano l’ambito famigliare la Gimbutas ricorda come la giovane sposa, appena entrata nella nuova casa, compiva tre giri intorno al focolare, e nello stesso modo il

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Il ceppo che veniva bruciato in Lituania la notte di Natale subiva la stessa sorte, in Romagna, nell’ultima notte dell’anno.

neonato veniva fatto girare per tre volte intorno al fuoco. In Romagna si usava far compiere il giro intorno al focolare al cane domestico per assicurarsi la sua fedeltà (al gatto toccava, purtroppo, un destino meno felice, quello di essere marchiato con un utensile arroventato nello stesso focolare).

Riprendendo la notizia da fonti del XVII[7] secolo la studiosa lituana ricorda che durante i matrimoni una gallina veniva uccisa colpendola con un mestolo di legno; ciò non può non ricordarci come in Romagna esisteva il rito dla galéna rabida (della gallina arrabbiata): una gallina veniva spennata viva durante il corteo nuziale. Sono evidentemente entrambi rituali residuali di antiche offerte propiziatrici al fine di augurare fertilità alla giovane coppia.

Sempre nell’ambito famigliare, e sempre citando la fonte[8], ricorda come il pane cotto nel forno di casa non poteva essere tagliato con un coltello, ma soltanto con l'estremità di un cucchiaio di legno; anche nelle campagne romagnole si diceva che il pane si poteva solo spezzare con le mani, e non doveva assolutamente essere tagliato. L’analisi antropologica di questi due riti molto simili conduce al concetto del ferro (il coltello) inteso come un elemento legato alla guerra, alle armi, insomma a qualcosa che porta al ferimento ed alla morte, in antitesi con i concetti più sacri della famiglia: la vita e la cooperazione tra i suoi membri.

Un sacrificio animale. E’ pensabile ritenere che i sacrifici di animali “di valore” (buoi, capri, maiali) di riti più importanti si siano trasformati, nelle povere famiglie contadine, nel sacrificio di animali di minor valore, come i polli.

La Gimbutas, pur ammettendo la validità di questa analisi, si spinge però più indietro nel tempo, vedendo nel ferro e nelle armi un ricordo di quelle popolazioni bellicose che dal nord-est invasero l’antica Europa, più legata invece ad una cultura agraria e pacifica.

Per quanto riguarda l’ambito dei lavori agrari viene ricordata la dea lituana Aufrine, una fanciulla celeste che rappresenta l’alba, ma che è anche, contemporaneamente, la stella del mattino e della sera. I contadini lituani erano soliti affermare: Quando Aufrine appare nel cielo comincia la giornata: è tempo di levarsi; quando tramonta, invece, è finalmente giunto il momento del riposo. Inevitabile il confronto con Venere; sia i contadini romagnoli che quelli lituani la credevano una stella, data la luminosità che le permette di apparire particolarmente visibile, ed il fatto che la si vedesse sia all’alba che al tramonto fu il motivo che portò, in Romagna, alla sua definizione di e Starlòn (lo Stellone) e anche la stèla buvareina (la stella del bovaro) dato che era quella che accompagnava il bovaro che, in ore antelucane, si recava al lavoro.

Il “regolino” (e règul) della tradizione romagnola.

Più legato al mondo selvatico era invece la venerazione dei contadini lituani per il serpente, e la credenza, da questa derivata, di un mitico serpente dotato di una corona che possedeva la capacità di parlare con gli uomini e prevedere il futuro.

Sono le stesse caratteristiche del romagnolo e règul (il regolino) un serpentello identicamente fornito di una protuberanza simile ad una coroncina (da cui il nome “serpente regale”, poco alla volta modificatosi in règul) dotato di caratteristiche via via diverse seconda le varie aree romagnole, ma sempre tali da porlo a metà strada tra il mondo animale e quello umano.

Come ultimo esempio di collegamenti tra questi due lontani mondi (ma anche altri se ne possono rilevare nei lavori della Gimbutas) ci colpisce particolarmente la Ragana.

Riportiamo quanto scrive la Gimbutas: Ragana, simbolo della morte della natura..[…]..i suoi capelli si attorcigliano come serpenti e dalla sua bocca fuoriescono delle bisce..[…]..conosce le virtù delle erbe magiche, con le quali può restituire la vita, resuscitare i morti e guarire uomini e animali quando sono ammalati. Il nome Ragana (che oggi vale «maga», «strega») deriva dal verbo «regeti», che significa propriamente «vedere», «percepire», «indovinare», «prevedere» gli eventi futuri. Il termine lituano «ragas» (corno, corno della luna) suggerisce un legame tra Ragana e la luna, e quindi con le tematiche della rigenerazione e della trasformazione. L'aspetto femminile di Ragana è spaventoso: lunghi capelli arruffati e unghie lunghissime. Ancora oggi si usa dire: «hai i capelli arruffati come una Ragana»..[…].. Danneggia le messi annodando le une con le altre le spighe di segala; di notte calpesta i pascoli, tosa le pecore e munge le mucche. È anche capace di confondere la mente degli uomini, causando in loro la pazzia. La sua pericolosità si manifesta in particolare in occasione dei matrimoni, in quanto può «rovinare la sposa» (che rimarrà sterile) oppure trasformare lo sposo in un lupo o in un cane.[9]

Per quanto alcune caratteristiche di questa figura (lo spalmarsi sulla pelle unguenti magici, riunirsi in gruppi in cui viene identificata una figura di comando (una “Signora”[10]), cavalcare una scopa o un ceppo di legno) sembrano apparentarla soprattutto con le streghe europee, ciò che colpisce particolarmente è l’uso, che la Gimbutas ci dice usato anche in tempi attuali, di utilizzare questo termine per definire una “donna sgradevole”, e ciò fa venire in mente la romagnola “pagana”, definizione che nel passato della Romagna identificava proprio una donna di questo tipo.

Si era già trattato della “pagana” proprio su questo sito[11], attribuendo al termine una derivazione dal latino pagus (villaggio contadino); gli abitanti delle zone rurali erano considerati più incivili, meno raffinati dei cittadini e quindi, quasi automaticamente, anche persone “sgradevoli”. Oppure a reminiscenze del periodo delle crociate, durante il quale altrettanto sgradevoli dovevano essere considerati gli arabi (i “mori”) per contrapposizione ai più civilizzati cristiani (o per lo meno sedicenti tali).

La lettura del lavoro della Gimbutas ci pone ora di fronte ad una nuova possibile interpretazione: una contaminazione del termine lituano Ragana, termine giunto, come gli altri casi precedentemente illustrati e chissà per quali strade, dai lontani paesi baltici.

Un’altra dimostrazione, se mai ce ne fosse bisogno, di come le analisi antropologiche non possano mai considerarsi concluse in modo definitivo.

Questa immagine chiarisce bene il meccanismo mentale secondo cui una donna anziana, povera e sola, possa lentamente essersi trasformata in una persona scontrosa, abbruttita dagli stenti, tale da venir considerata dagli altri una “persona sgradevole”, da evitare.

[1] Ivinskis, 1986.

[2] Christopher R. Fee, David Adams Leeming: Gods, Heroes & Kings, Oxford University Press, 2004; Gintaras Beresnevičius: Lithuanian Mythology, settembre 2012.

[3] Tra i suoi lavori più noti si ricordano, ad esempio: Mito e culto della Dea madre nell'Europa neolitica, Longanesi, 1990; Le dee viventi, Medusa, 2005; Il linguaggio della dea, Venexia, 2008; La civiltà della Dea, Stampa Alternativa, 2013.

[4] La Gimbutas iniziò a pubblicare testi sulle religioni baltiche ad iniziare dalla sua tesi di laurea, ma il fatto di scoprire dati sempre più numerosi sulle forme matriarcali preesistenti al patriarcato la portò a dedicarsi quasi esclusivamente a questo argomento ed alla diffusione della sua teoria.

[5] Marija Gimbutas: I Balti, Milano, Medusa, 2017.

[6] Richard Heinberg: I riti del solstizio, Edizioni Mediterranee, Roma, 2001.

[7] Praetorius, 1690.

[8] Dunduliene, 1985.

[9] Marija Gimbutas: I Balti, cit.

[10] Nella letteratura sulla stregoneria europea si ricordano diverse testimonianze in cui le presunte streghe, interrogate dagli inquisitori, ammettevano di partecipare a riunioni collettive (i “sabba”) sotto il comando di una “Signora del gioco”.

[11] Vedi l’articolo: Brôta com una paghéna, alla pag. TESTI.