C’è qualche traccia di queste figure nella nostra regione?

I “benandanti” (coloro che “vanno per fare del bene”, secondo la più probabile interpretazione del termine) erano persone che tramandavano antiche pratiche contadine, di origine pagana, atte a perpetuare la fertilità dei campi; sia uomini che donne, la loro attività principale era quella di combattere streghe e stregoni che, al contrario dei benandanti, cercavano di ottenere l’effetto contrario, ossia rendere sterili i campi e distruggere i raccolti con pratiche magiche. 

In Italia se ne hanno tracce soprattutto nel Friuli del ‘500 e ‘600; il lavoro più importante su queste figure è quello di Carlo Ginzburg[1], che se ne occupò in più di un’occasione.

Essi, nelle notti delle “quattro tempora”, ritenevano che durante il sonno il proprio spirito fosse in grado di uscire dal corpo e, riuniti in piccoli gruppi e comandati da un “capitano”, ingaggiavano furibonde battaglie contro i “malefici” utilizzando come arma rami di finocchio (streghe e stregoni erano invece armati con canne di sorgo[2]).

Era evidentemente un culto agrario pagano - sciamanico erede di tradizioni diffuse in tutta l’Europa nord-orientale, da cui arrivò in Italia (soprattutto in Friuli) spingendosi fino alle terre venete (Vicenza e Verona) e le cui tracce si trovano documentate anche in Istria e Dalmazia. Presso le popolazioni slave e germaniche i benandanti sono noti con il nome di krasniki, mentre in area ungherese sono ricordati come táltos[3]; alcune loro caratteristiche si possono riscontrare anche tra i zidàlkos delle regioni basche.

Qualcuno ne rimanda l’origine a tradizioni celtiche[4], suggerendone l’origine etimologica dal dio Belenus (da cui il nome, per assonanza con quello del dio, belandant > benandant) e anche per il fatto che le “quattro tempora” erano periodi dedicati a culti agrari ricordati da fonti britanniche prima ancora che la cristianità ne facesse uno dei suoi capisaldi relativi a riti penitenziali[5].

Che il riferimento sia quello di culti pagani, in particolar modo quelli sciamanici, è abbastanza evidente.

Come nei culti sciamanici il soggetto possedeva la consapevolezza che il suo viaggio fosse compiuto in forma di spirito (a differenza di quanto avveniva con le streghe, che ritenevano di partecipare ai sabba in maniera fisica); come nei culti sciamanici lo spirito, per uscire dal corpo, prendeva la forma di un piccolo animale, per poi tornare ad assumere una forma antropomorficamente umana per poter combattere (gli sciamani ritenevano che il loro spirito assumesse la forma di un topo e poi quello di una cicogna); per i benandanti doveva essersi stato, alla nascita, un segno divino che li indicava come “combattenti per il bene” (alcuni dei quali avremo modo di vedere) mentre per gli sciamani il segno era quello di un momento traumatico nella propria vita; per i benandanti il fenomeno avveniva durante il sonno, negli sciamani durante la trance indotta da bevande allucinatorie o stupefattive, oppure provocata da suoni ossessivamente ripetuti, generalmente quello del tamburo.

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Il fatto che le divinità indichino con un segno particolare la persona destinata a grandi imprese è un archetipo diffuso nelle culture di tutto il mondo; può trattarsi di una caratteristica fisica, sia positiva (come l’abnorme forza fisica di Ercole che strangola due serpenti quando è ancora in fasce) che negativa (mancinismo, zoppìa – presso i nativi americani sono i pazzi ad essere considerati in diretto contatto con dio); può trattarsi di un avvenimento singolare e fortunoso (Romolo e Remo salvati da una lupa, Mosè affidato alle acque che riesce a sopravvivere): in ognuno di questi casi la

tradizione popolare ritiene che la “singolarità” sia un segno di predestinazione.

Nel caso dei benandanti i segni identificativi erano, fondamentalmente, gli stessi che, in condizioni diverse, facevano attribuire a certe donne la patente di streghe (il che la dice lunga sui meccanismi mentali che portano a demonizzare certe persone ed a santificarne altre).

Il caso più diffuso era quello di essere nati ancora avvolti nel sacco amniotico, da sempre considerato nelle tradizioni popolari come segno di fortuna[6]; generalmente, in questo caso, la persona portava con sé, come amuleto, un pezzetto del sacco amniotico contenuto in un sacchetto ed appeso al collo; poteva essere anche un'altra anomalia fisica, come essere fornito di dita soprannumerarie o, nel caso delle donne, di capezzoli soprannumerari (quello che in medicina si definisce oggi come “polimastia”); poteva trattarsi di nei o macchie sulla pelle che formassero un disegno apprezzabile come un segno cristiano (una croce, o il volto di un santo).

Poteva trattarsi anche di un avvenimento particolarmente importante riguardante la sfera psichica di un uomo, come un grave lutto, una malattia nervosa, o una crisi della coscienza; dovevano comunque essere avvenimenti che portavano l’interessato ad un radicale cambiamento di personalità (naturalmente doveva trattarsi di un cambiamento in meglio).

Sebbene il fenomeno per il quale sono più conosciuti sia quello delle battaglie contro le streghe, i benandanti compivano anche altre gesta inusuali: potevano togliere il malocchio operando “controfatture”; potevano dialogare con i defunti e riportare informazioni da essi ricevute a parenti viventi; operavano come guaritori.

In definitiva apparivano come l’altra faccia della medaglia della stregoneria, il contraltare benefico dell’aspetto di questa; per questo motivo erano ben visti dalla popolazione, che, al contrario, temeva la stregoneria[7].

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Uno sciamano delle steppe siberiane

Il loro ruolo di “combattenti per il bene” però non durò molto; già alla fine del ”500 l’atteggiamento della Chiesa, che in un primo tempo li aveva tollerati in quanto considerati alleati nella sua lotta contro il demonio ed i suoi seguaci, cominciò ad accusarli di stregoneria.

Il motivo di questo comportamento delle autorità ecclesiastiche era molto chiaro: non si poteva combattere la stregoneria con la stregoneria stessa (e stregone era considerato chi utilizzava strumenti che non si rifacessero alla religione, e quindi “pagani”). Chi lo faceva si macchiava dello stesso delitto, perciò di eresia, e come tali i benandanti furono perseguitati dall’Inquisizione, l’istituzione nata proprio per questo scopo.

D’altro canto questa ipotesi la Chiesa l’aveva manifestata fin dall’inizio, con quel già ricordato vescovo Filastrio, autore di Diversarum Hereseon Liber, un testo sulla lotta alle eresie. Uno dei capi d’accusa più noti (ricordato nel citato libro di Ginzburg) venne da una lettera anonima di denuncia contro i benandanti datata 1642, giunta all’Inquisizione dal paese di Palazzolo (in Friuli) che rivelava come i benandanti stessi, uomini e donne, eseguissero una danza cantando in coro per evocare la pioggia; la lettera riportava anche il testo utilizzato nel canto, che ad un certo punto recitava: “schiarazzola marazzola a marito ch'io me ne vo’ … et quello che segue … si come son donzella, che piova questa sera".

Il riferimento alla capacità di provocare la pioggia (attività tipica delle streghe, chiamate per questo anche con il nome di tempestarie) e l’attività di un ballo comune tra uomini e donne (e perciò peccaminoso) era sufficiente ad indicare i benandanti come adepti della stregoneria; per gli inquisitori non ebbe nessuna importanza, evidentemente, che scjaraciule maraciule, il ballo a cui si faceva riferimento, fosse in realtà un antico ballo popolare delle campagne friulane, e come tale già indicato, nel 1576, da un autore vicino alla Chiesa, e quindi teste ineccepibile[8].

Ma veniamo alla Romagna.

Come si è detto le indagini storiche hanno dimostrato che i benandanti agirono principalmente nel Friuli e nel Veneto; non esistono documenti che ne attestino la presenza nelle nostre zone. Si può comunque supporre che qualcosa di molto simile possa essere stato presente anche in Romagna, dato che le caratteristiche “complementari” che abbiamo visto possedute dai benandanti (cura delle malattie, possibilità di colloquiare con i defunti, ecc…) erano le stesse di tante “medicone” presenti, fino a non molti anni fa, anche nella nostra regione[9].

Una possibile conferma di ciò potrebbe venirci anche da una nota di Placucci riguardante le tradizioni relative alla festa di San Giovanni Battista.

Michele Placucci, nel suo più importante lavoro[10], riporta:

I contadini credono che nella notte della festa di San Giovanni Battista le streghe si facciano vedere ne’ crociari delle strade detti quadrivj, vale a dire in quel punto, che forma centro a quattro diverse strade. Perciò ivi si portano, ed appoggiano sotto il mento nel collo una forca, e stanno in quel luogo ed attitudine quasi tutta la notte; ed asseriscono che veggono le streghe, le quali passando, dicono le seguenti parole: Ben staga l’inforchèa, vale a dire: Bene stia l’inforcato, quello cioè che stassi sulla detta forca appoggiato. E l’uomo risponde: Ben vega a c’ha d’andèa, che equivale a Ben vada chi ha d’andare, o viaggiare; cioè la strega.”

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Ecate Trivia era una divinità pagana il cui culto era attestato pressi gli incroci tra più strade nel periodo precristiano.

Sulla credenza, nelle tradizioni romagnole, dei crocicchi come luoghi deputati a fatti e comportamenti magici si è già scritto[11], e pertanto non stupisce; stupisce invece il rapporto tra contadino e strega, questo scambiarsi un saluto quasi amichevole (o, per lo meno, carico di quello che sembra un reciproco rispetto).

Sembra quasi un saluto cavalleresco, come quello scambiato tra duellanti prima di dare luogo allo scontro; il contadino non mostra nessuna paura (per quanto protetto dal rito dell’appoggiarsi ai rebbi della forca, che rimanda ai contenuti apotropaici del ferro e degli oggetti puntuti) nonostante la tradizione ci abbia tramandato il terrore quasi patologico dei popolani verso le figure malefiche.

Potrebbe, questo comportamento del contadino, essere la reminiscenza di un’antica congrega di persone votate al combattimento con le streghe? Potrebbe essere il ricordo di aver fatto parte di gente “senza paura” tale da essere in grado, da solo e di notte, di assistere impunemente al loro passaggio?

Riteniamo sia una possibilità da indagare.

[1] C. GINZBURG: I benandanti. Ricerche sulla stregoneria e sui culti agrari tra Cinque e Seicento, Einaudi, Torino, 1966.

[2] Quello delle armi utilizzate è un particolare molto interessante e singolare, che non è stato mai ben indagato, anche se evidentemente ha come base il fatto che il fenomeno si riferisca a culti agrari.

[3] A. IPOLYI: Magyar mitológia, 1854. In Ungheria, ancora ai nostri giorni, la tradizione continua a sopravvivere.

[4] Lo storico americano Brian Levack.

[5] Le “quattro tempora” sono giorni durante i quali la chiesa cattolica impone di dedicarsi alla riflessione ed alla preghiera. Collegati alle quattro stagioni, penitenza e preghiere sono destinate a richiedere l’aiuto di Dio per ciò che attiene alle pratiche agricole. Data l’universalità di questo desiderio è normale pensare a riti pagani sui quali si sia innestata, posteriormente, la tradizione cristiana. Infatti nella cristianità il primo a parlarne fu Filastrio, vescovo di Bergamo (330 - 387) mentre la prima legislazione ecclesiastica in materia si deve al papa Gelasio I (492 - 496), poi definitivamente stabilita da papa Gregorio VII nel 1085. I periodi sono rispettivamente: tempora d'inverno (tra la terza e la quarta domenica di Avvento); tempora di primavera (tra la prima e la seconda domenica di Quaresima); tempora d'estate (tra la Pentecoste e la festa della Santissima Trinità); tempora d'autunno (tra la 3a e la 4a domenica di settembre).

[6] Da questa credenza discende il detto popolare “essere nati con la camicia”.

[7] Probabilmente le figure delle buone vecchiette, dotate di poteri magici, che sono diventate uno stereotipo di tante fiabe, hanno preso spunto anche da questa tradizione popolare.

[8] G. M. PARMEGGIANO: Il primo libro dei balli accomodati per cantar et sonar d'ogni sorte de instromenti di Giorgio Mainerio Parmeggiano, Maestro di Capella della Santa Chiesa d'Aquilegia, 1576.

[9] Vedere, a questo riguardo, il lavoro: “L’ESORCISMO E LA GUARIGIONE. I riti tradizionali delle “medicone” romagnole e gli esorcismi traggono le origini da antichi rituali religiosi.” pubblicato alla pagina TESTI di questo stesso sito.

[10] M. PLACUCCI: Usi, e pregiudizj de’ contadini della Romagna, Barbiani, Forlì, 1818

[11]Vedere, a questo riguardo, il lavoro: “I LUOGHI URBANI DELLA VITA E DELLA MORTE. Dai crocicchi alle moderne edicole religiose permangono, nelle tradizioni romagnole, testimonianze su antiche divinità legate al simbolismo del ciclo vitale dell’uomo.” pubblicato alla pagina TESTI di questo stesso sito.