Due diversi concetti alla base di un archetipo universale, origine di antichi giochi, anche in Romagna.

Nella storia della cultura umana sono esistiti alcuni concetti (spesso accompagnati, o rappresentati, da immagini simboliche) che più di altri possiamo definire “universali” in quanto riscontrabili in tutto il mondo ed in tutte le epoche; ad esempio il concetto del gruppo e della famiglia-tribù (antenati compresi) ed il focolare come suo simbolo; l’immanenza ed il suo contraltare, il cielo; gli astri (in articolare sole e luna) ed il loro collegamento con la nozione delle divinità; oppure i concetti astratti ed artistici legati ai simboli del cerchio, della croce, della spirale, del labirinto.

È già stato ricordato, in un precedente lavoro,  come il gioco “della settimana”[1], fosse molto diffuso in Romagna fino agli anni immediatamente successivi alla II guerra mondiale; ora si vorrebbe approfondire quello che, nel lavoro ricordato, era stato indagato semplicemente con lo scopo di dimostrarne la diffusione in tutta l’area mondiale, mostrando come la sua origine sia complessa, in quanto risultato di due concetti diversi e solo apparentemente contrastanti, di “dedalo” e di “labirinto”.

I due diversi concetti nascono dal fatto che in molte lingue (italiano compreso) viene generalmente usato il termine “labirinto” sia per indicare un percorso tortuoso, che nel suo svolgersi può comprende bivi o trivi, rami che finiscono in un vicolo cieco, nel quale occorre trovare l’uscita[2], sia per un percorso invece univoco, lineare, per quanto tortuoso e serpeggiante, nel quale però non è possibile perdersi, e che basta seguire fino in fondo per arrivare al centro.

In realtà, da un corretto punto di vista del linguaggio, il primo tipo di percorso  dovrebbe essere definito “dedalo”, mentre il termine “labirinto” si dovrebbe applicare solo al secondo[3].

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L’antica rappresentazione di un labirinto. Come si può vedere, a differenza di un dedalo, una volta imboccato l’ingresso è inevitabile arrivare fino al centro.

Il labirinto ha un’origine più antica del dedalo[4], dato che rappresentazioni simboliche si possono trovare persino in graffiti rupestri; lo si trova in monete del periodo minoico, e nel vaso etrusco detto “di Tragliatella” (VII sec. a.C.); anche dal punto di vista della distribuzione geografica si trova presente in tutto il mondo antico, dal bacino del Mediterraneo fino alla Scandinavia.

Per tutti gli studiosi di religioni antiche e dei loro simboli, il significato del labirinto è certo: rappresenta la strada per arrivare alla verità, alla purificazione, alla rinascita; in definitiva è il percorso iniziatico che allontana l’uomo del suo essere animale per permettergli di accedere a forme più spirituali di conoscenza, e per questo motivo non ha le complicazioni del dedalo: una volta imboccato il cammino, se si persegue la ricerca in maniera onesta, il conseguimento della verità è inevitabile. Si può, tutt’al più, decidere di interrompere il percorso e tornare allo stadio iniziale.

Ogni tradizione religioso-filosofica lo ha poi interpretato in maniera personale, affidando al “centro” l’immagine tipica dei propri sentimenti. Così per i cristiani il labirinto è la ricerca di Dio, ed il centro diventa inevitabilmente il paradiso. Il più famoso, nella visione cristiana, è probabilmente il labirinto rappresentato nel pavimento della cattedrale di Chartres, che i pellegrini percorrevano in ginocchio.

La complicazione rappresentata dal dedalo, invece, trova la sua giustificazione simbolica nel rappresentare un percorso in cui l’uomo si fa sviare dai propri sensi materiali, dalle percezioni sensoriali, e questo lo porta ad inevitabili vicoli ciechi.

In occidente il labirinto che più ha inciso sulla cultura è sicuramente quello della tradizione mitologica di Teseo e del Minotauro[5].

In realtà si trattava di un dedalo, visto che Teseo ha avuto bisogno del filo di Arianna per poterlo affrontare, filo inutile in un labirinto; che si trattasse di dedalo è confermato anche dall’azione di Teseo (l’uccisione della bestia) e successivamente dall’abbandono di Arianna sull’isola di Nesso, azioni che sono più rappresentative di un comportamento umano (e non proprio di alto senso morale) più che una ricerca filosofica; e anche dal fatto che Icaro, quanto tenta di fuggire con un espediente, trova la morte nel mare, a significare che l’azione sua e del padre venne considerata dagli dei un espediente “furbo” (tentarono di beffare il destino con mezzi umani) più che un’onesta ricerca (punizione che colpì Icaro ma, ancora più profondamente il padre, che unì al dolore il senso di colpa).

Sempre il mito ci dice che dopo la sconfitta del Minotauro ed il ritorno in patria Teseo celebrò la vittoria con una danza, alla quale parteciparono sia i ragazzi che le ragazze salvate dal sacrificio.

Molti storici antichi ricordano questa danza come “danza della gru”[6]. Plutarco è quello che la descrive più dettagliatamente:

….nel viaggio di ritorno da Creta Teseo si fermò a Delo. Dopo aver sacrificato al dio … […] …eseguì insieme ai ragazzi una danza che riproduce i giri, i passaggi del labirinto; una danza consistente in contorsioni ritmiche e movimenti circolari: gli antichi la chiamarono «danza della gru» e dicono che sia ancora in uso tra quelli di Delo”.

Strabone ricorda passi di danza “su un piede solo” e l’utilizzo di funi che i giovani tenevano nelle mani durante la danza stessa. A seguito di questa abbondanza di riferimenti,  il  simbolismo  del  labirinto  si  è  arricchito  di infinite ipotesi concettuali. E’

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Dedalo cerca di impedire al figlio Icaro di scagliarsi avventatamente verso il sole. Il calore sciolse la cera con cui erano tenute le ali facendolo precipitare in mare, dove annegò.

stato ipotizzato un collegamento tra il labirinto e la tela del ragno, basato su similitudini fonetiche delle diverse forme con cui viene scritto il nome dell’eroina del mito (Arianna, Ariadne, Aracne); sulla presenza del “filo”; sul fatto che il disegno del labirinto[7] parte dall’esterno per arrivare al centro, come la tela del ragno; che il disegno stesso (sia del labirinto che della tela del ragno) è simile al disegno della spirale, altro elemento simbolico che rimanda alla ricerca interiore.

L’ungherese Kàroly Kerènyi, storico delle religioni, è quello che più di altri ha analizzato questi possibili rapporti (anche dal punto di vista filologico) giungendo ad interessantissime conclusioni, alle quali si rimanda il lettore interessato[8].

Ma ciò che di più ci interessa, tra le sue conclusioni, è l’affermazione secondo la quale molti degli elementi della “danza della gru” si sono tramandati in comportamenti rituali rintracciabili anche ai nostri giorni[9].

Questo ci permette di analizzare il “gioco della settimana” che avevamo ricordato all’inizio di questo lavoro, inquadrandolo in una nuova ottica.

Stiamo parlando di quel particolare gioco infantile noto che prevede di effettuare un percorso seguendo uno schema tracciato sul terreno seguendo una serie di caselle affiancate (quadrati, rettangoli, cerchi, ecc..). 

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Le regole hanno chiaramente lo scopo di rendere difficile il gioco: il percorso deve essere compiuto a volte saltellando su una sola gamba, a volte saltando e atterrando su entrambe le gambe; le righe che delineano lo schema non devono essere calpestate, si deve percorrere un percorso alternato (un rettangolo in avanti, uno indietro, due avanti, due indietro, tre avanti e così via sino ad arrivare in fondo), il rettangolo di arrivo deve essere identificato lanciandovi all’interno un sasso (e anche questo non deve toccare le linee)[10]; comunque sia, gli schemi che le regole variano passando da una zona all’altra della Romagna; a volte se ne hanno versioni dissimili nella stessa area.  Il percorso complicato tale da ricordare un labirinto, le difficoltà legate al camminare e nel saltare come si è detto, il lanciare il sasso con precisione e, soprattutto, il fatto che ciò sia destinato ai giovani, sono tutti elementi che rimandano a riti iniziatici, quei riti che nell’antichità i giovani devono superare per essere ammessi nella società degli uomini adulti.  

Anche il  camminare  alternativamente su una e due gambe fa supporre che si tratti di un residuo culturale, sotto forma di gioco, di tali riti. Infatti, come è stato ben indagato da qualche studioso[11], le anomalie sono tipiche di figure destinate a fare qualcosa di particolarmente importante; secondo questa logica la predestinazione, o la fortuna, viene quindi indicata da anomalie come la zoppìa, il mancinismo, o l’essere nati avvolti nel sacco amniotico.

In questo modo di incedere, in particolare, l’indagine antropologica sembra privilegiare l’imitazione di un animale, probabilmente di una gru o di una cicogna, per cui è più corretto parlare di riti iniziatici ispirati ed assistiti da un  animale totemico, quegli animali che gli uomini antichi erigevano a difensori della tribù e che aiutavano i componenti della tribù stessa nelle loro azioni.

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Fanciulle nella danza della gru, mentre stringono una corda tra le mani.

Quando un giovane si sottoponeva ad un rito iniziatico si identificava con l’animale totem del proprio gruppo sociale, e questo gli dava più forza per superare la prova.

Ma la gru è l’animale simbolo della cultura sciamanica, è l’aiutante dello sciamano nel raggiungimento dello stato di trance, il suo compagno nei voli che lo portano ad identificarsi con l’universo.

Per concludere possiamo confermare di essere in presenza di un gioco derivante da un rito, che si presenta nell’antichità in tutta l’area europea, e che assorbe i caratteri di due elementi apparentemente distanti: dal concetto del dedalo e del suo interprete Teseo la danza della gru, mentre dal labirinto gli deriva il senso della ricerca che è tipica delle ritualizzazioni iniziatiche.

Vale la pena di ricordare che anche la fune (altro elemento presente nel rituale) potrebbe aver lasciato qualche ricordo nelle tradizioni della Romagna; infatti un altro gioco tipicamente infantile come l’altalena, è detta in Romagna “fare la danza” (fè la dènza).

[1] ANTROPOLOGIA  DEL  GIOCO.  I bambini romagnoli, come i loro coetanei di tutto il mondo, hanno appreso dai giochi le prime regole della convivenza sociale, pubblicato alla pagina TESTI di questo stesso sito.

[2] E’ il classico labirinto (che per quanto qui detto dovrebbe in realtà chiamarsi dedalo) che si trova spesso rappresentato, sotto forma di gioco da risolvere, in tante riviste di enigmistica.

[3] In inglese, ad esempio, il labirinto viene tradotto con labyrinth, mentre il dedalo con maze.

[4] Sono stati prodotti anche diversi lavori sull’origine del termine: c’è chi ritiene che tale origine sia da ricercare nel termine labrys, con il suo riferimento alle pietre ed alle caverne, e chi invece rimanda al termine labor intus, in considerazione del simbolismo ad una “ricerca interiore”.

[5] Come è noto Teseo uccise il Minotauro evitando così che sette fanciulle e sette fanciulli greci venissero dati in pasto al mostro. Era questo un tributo che i greci dovevano pagare ogni nove anni ai micenei, a causa di una sconfitta militare.

[6] Ne parlano diffusamente Luciano da Samosata, Giulio Polluce e il poeta Callimaco.

[7] Si continua qui ad usare il termine “labirinto” per conformità al racconto mitologico, anche se, come abbiamo visto, probabilmente si trattava di un dedalo. Ma la necessità di rimandare ad un’interpretazione filosofico-religiosa sulla ricerca interiore pose la necessità di trasformarlo fin dall’antichità, forse anche inconsciamente, in labirinto.

[8] K. Kerènyi: Nel labirinto, Bollati Boringhieri, Torino 1997. Altro testo interessante è: Labirinti, di Hermann Kern, Feltrinelli, Milano 1981.

[9] Sono rintracciabili diversi riti religiosi in cui gruppi di pellegrini percorrono un percorso a spirale. Il più noto è forse la processione detta “granitula” presente nell’Italia meridionale.

[10] E’ diffuso in tutto il mondo, per cui le regole, per quanto si basino tutte sull’eseguire passi, salti o giravolte, seguono infiniti schemi.

[11] C. GINZBURG - I  benandanti. Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento - Einaudi,  Torino, 1978.