Proposta di studio etimologico su un comunissimo termine del dialetto romagnolo.

Esistono termini dialettali che sono diventati ormai patrimonio comune di tutti gli italiani, indipendentemente dalla loro origine, grazie alla diffusione che è stata loro fornita prima dalla letteratura, poi dal cinema e dalla televisione.

Ad esempio il napoletano quagliò, il lombardo bauscia, il belin ligure.

Il termine in dialetto romagnolo gag (da leggersi con la seconda “g” dolce) è tanto comune da essere capito anche da chi il dialetto non lo parla affatto; oggi capita di sentirlo usare nella sua corretta accezione anche dai tanti residenti di origine non italiana che hanno iniziato una nuova vita nel nostro paese, ed è uno dei primi che imparano i turisti che passano le vacanze sulla costa romagnola.

E’ uno dei termini romagnoli più studiati per quanto riguarda l’etimo, se non il più studiato in assoluto;  forse soltanto l’etimo dell’altro comunissimo termine romagnolo burdel è stato studiato altrettanto diffusamente.

Come sappiamo identifica una persona con carnagione e capelli chiari, biondi o rossi, magari anche con il viso coperto di efelidi.

Morri (già nel 1840) lo dava come “rosso di pelo”, come Mattioli (1879); Ercolani (1971) come “rossiccio di pelo, lentigginoso”, Quondamatteo (1982) “rosso di capelli e di carnagione”; Calvetti considera restrittivo il termine riferito solo ai rossi di capelli e lo estende anche ai biondi.

Per  contrapposizione esiste il termine mor, come “scuro di capelli e di pelle”.

Lo si trova presente anche nella zona di Bologna e nel ferrarese, anche con qualche diversità che lega il termine più al solo concetto di “grazioso” (gagin, gagina). Nel Veneto già agli inizi dell’ottocento (Boerio, 1829), riportava gàgio nel significato di “contadinotto stupido e facile da turlupinare”.

Secondo Pedrelli l’etimo rimanda al latino “gagius”, variante di “gallus”, già presente  nelle  popolazioni  liguri  e  venete  ( citando  a  favore della sua ipotesi anche lavori di Meyer-Lübke),  per indicare in un primo tempo l’etnia celtica, e successivamente le popolazioni con quella origine o comunque identificata da pelle e capelli chiari.

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Un guerriero celta.

Calvetti (2001) ricorda come molti autori abbiano proposto altre due diverse ipotesi: da gajus, “persona con comportamento vivace” e da gaius come indicativo del colore chiaro di alcuni uccelli e animali (ricordiamo a questo riguardo il riferimento dantesco della fiera “dalla gaietta pelle”), propendendo comunque più per la seconda ipotesi che per la prima.

A  favore  di  queste  ipotesi bisogna dire che

la persistenza delle popolazioni di etnia celtica, e probabilmente di una certa consistenza, anche dopo la colonizzazione romana delle nostre terre, è un fatto assodato; da una parte  c’era  l’abitudine  politico-sociale  dei  romani  di  convivere

abbastanza pacificamente con le popolazioni locali, dall’altra la forte presenza dei celti in quest’area, che la rendeva più simile, rispetto a quelle collinari, alle terre di origine di queste popolazioni (bacino del fiume Reno in Germania e della Senna in Francia) e quindi preferibile.

Inoltre, dopo le battaglie di Talamone (225 a.C.) e di Sentino (295 a.C.) che videro le legioni romane prevalere definitivamente sulla coalizione umbro-etrusco-celtica, i celti si erano rifugiati in zone paludose e difficili da conquistare, e quindi le zone “basse”  della Romagna erano state da loro identificate come aree nelle quali sarebbe stato più difficile essere scacciati.

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Distribuzione di alcune delle etnie celtiche in Romagna.

È probabile quindi che in Romagna, più che in altre zone, i popoli celti fossero numerosi, e che questo abbia contribuito ad identificare un gruppo etnico ben preciso (persone bionde e dagli occhi chiari) in contrapposizione alle popolazioni di origine latina, più scura di carnagione.

Questo fatto potrebbe avvalorare l’ipotesi presentata da Pedrelli, per cui il termine gallus per indicare i celti potrebbe essersi modificato in gagius, identificando con ciò sia l’etnia che la loro morfologia.

Non è da scartare neppure l’ipotesi che propone il termine come derivante da gajus (persona vivace) visto che oggi, al di là dell’indicazione morfologica, con questo nome si identifica spesso anche un certo tipo di comportamento spigliato e disinvolto, al limite della monelleria; non è raro sentire una persona anziana che rimbrotta un giovane che ha compiuto qualche marachella con la frase “…ué gag, tan faza miga e pataca!...” ( ehi, biondo, non fare mica lo stupido!) e questo indipendentemente dal colore dei capelli.

A volte il termine assume una valutazione anche più dura, quella che si attribuisce ad una persona rissosa, dispettosa, malevola, anche se di una cattiveria più caratteriale che volutamente maligna; non per niente si dice  gag arabì, gag invalnê, gagiaz,  (biondo arrabbiato, biondo avvelenato, brutto biondo) oltre al conosciutissimo modo di dire: ”… e’ gag de pel ros, chi ne prova u ne cnos…” (il biondo dal pelo rosso, chi non lo prova non lo conosce) attribuendo arbitrariamente un determinato carattere ad una persona magari sconosciuta.

Anche se può sembrare strano, accanto a questa accezione che rimanda al rimbrotto, e che quindi comporta una valenza negativa, ne convive una diametralmente opposta, che si rifà invece all’affetto, legata al concetto del “bello” e del “grazioso”, come abbiamo già visto verificarsi nel bolognese e nel ferrarese (tipica la frase in dialetto romagnolo e’ mi bel gag).

E’ tipico dei nonni, per esempio, definire gagin il proprio nipotino (anche in questo caso indipendentemente dal colore dei capelli); si arriva all’estremo nel sentire un romagnolo che, accarezzando il proprio cane, magari dal pelo nerissimo, lo chiami: e’ mi bel gagion.

Queste due diverse accezioni non sono però in antitesi, come avremo modo di vedere.

Accanto a queste teorie riteniamo opportuno valutarne un’altra, che  potrebbe venire ancora da più lontano sia geograficamente che nel tempo, e rimandare ad un termine indoeuropeo conservatosi nel linguaggio di quello che comunemente chiamiamo “il popolo zingaro”.

Il termine “zingaro”  deriva dal greco-bizantino  athinganos, cioè “intoccabile” (da cui il termine “zingaro”, “tzigano”, “gitano”, ecc..), ma  sarebbe più giusto chiamare questa popolazione con il suo nome corretto, ossia quello di popolo Rom (composto, in realtà, da diverse etnie, di cui le più numerose, almeno in Italia, sono quelle dei Rom e dei Sinti).

Nella loro lingua (il romanès) essi definiscono i non appartenenti alla propria etnìa con il termine gagio ( o gagiò, pl. gagi).

Anche in questo caso, evidentemente, il termine di discrimine è sempre quello del colore degli occhi e dei capelli, visto che  i Rom sono un gruppo etnico con caratteristiche meridionali (la loro origine li fa risalire alle più antiche popolazioni indoeuropee, che migrarono in ondate successive dalle valli dell’Indo sia verso tutto l’occidente, che verso le steppe asiatiche fino alle estreme regioni orientali della Cina).

Per i Rom, quindi, i gagi sono persone non appartenenti alla loro etnia, e generalmente di carnagione e capelli chiari.

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Le invasioni militari dei lanzichenecchi furono una delle cause dell’epidemia di colera in Italia.

A sostegno di questa ipotesi si può ricordare che anche in Cina viene usato il termine gagin (non possiamo giurare sulla corretta grafia del termine in quanto raccolto solo in maniera orale[1]), per identificare le persone con i capelli chiari, e altrettanto succede in Albania.

I Rom tendono anche oggi a rimanere un gruppo isolato, sia culturalmente che da un punto di vista della loro tipizzazione etnica, fatto dovuto in buona parte dall’essere tenuti ai margini della vita civile da parte del resto della società, che li ha sempre visti come un popolo di ladri e di truffatori; fin dall’antichità sono stati, assieme ai lebbrosi e agli ebrei, una di quelle comunità sulle quali si scatenavano le persecuzioni razziali nei momenti in cui le civiltà cosiddette civili erano percorse da crisi di isteria collettiva (durante le guerre, le pestilenze, le carestie).

La Romagna, sotto questo aspetto, non ha fatto eccezione.

Una testimonianza di ciò ci viene dal Cronichon Fratris Hieronymi da Forlivo, dove il religioso descriveva l’arrivo degli zingari in quella città, nell’agosto del 1422, definendoli “…gente non morigerata, ma quasi animali brutti e furenti…”.

 Inoltre è significativo di questa mentalità il fatto che il colera venisse definito, in Romagna, come “lo zingaro maledetto”.

Questa malattia si sviluppava generalmente quando si verificavano invasioni di popolazioni infette dal morbo, come nel caso di invasioni militari (famosa rimane l’epidemia colerica dovute alle invasioni dei lanzichenecchi nel 1630) per cui la popolazione associava l’insorgere del colera all’arrivo di una qualunque popolazione straniera, soprattutto quando questa veniva considerata “brutta e sporca”.

L’isolamento civile delle popolazioni Rom ha fatto sì che le contaminazioni culturali da parte di altre di altre etnìe siano state minime, al punto che nella loro organizzazione sociale rimane (anche se in maniera abbastanza formale più che effettivamente significante) qualche residuo di quelle culture matriarcali che nel periodo neolitico erano probabilmente la forma sociale più diffusa; infatti esiste ancora la superstizione, da parte dei “non Rom”, di credere all’esistenza di una “regina del popolo zingaro”, che diventa il riferimento per tutte le questioni riguardanti conflitti interni a quel popolo.


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La tradizione pittorica, soprattutto quella romantica del XIX secolo, ci ha spesso tramandato l’immagine bucolica ed edulcorate del popolo Rom. In realtà gli “zingari” non erano mai ben accettati dalle popolazioni locali, ed erano identificati come autori dei più svariati crimini.

Proprio per il fatto di essere costantemente il capro espiatorio di tutti gli altri popoli, nella cultura Rom potrebbe essere nato il concetto che chi non apparteneva al loro gruppo (e quindi i gagi) erano persone malvagie e da evitare. Allo stesso tempo considerano sé stessi più furbi ed abili di qualunque gagio (come risulta dalla loro tradizione letteraria), il che darebbe una logica spiegazione  del significato di “sempliciotto” che  abbiamo visto il termine assumere nel Veneto.

Nelle altre popolazioni il concetto si è completamente capovolto, ed erano perciò i gagi ad essere considerati quelli “buoni”, mentre lo “zingaro” era il cattivo.

Ma al contrario di un’accezione caratteriale, che può facilmente essere spostata da una popolazione all’altra, quella dovuta all’aspetto fisico rimane fissa, e di conseguenza il termine continuava ad identificare le popolazioni dagli occhi e capelli chiari. E se i gagi definivano sé stessi come “buoni”, erano probabilmente anche “belli”, secondo un’interpretazione errata, ma comune, del concetto filosofico del kalos kay agathos.  

Questo spiegherebbe  l’accezione che, come abbiamo visto, rimanda alla bellezza ed all’affetto e che, nata probabilmente come forma di cortesia e di complimento all’interno dello stesso gruppo dei gagi, diventò poi un modo di dire che  trascende il colore degli occhi e dei capelli.

Ci si potrebbe chiedere, cercando qualche punto debole nella teoria dell’origine del termine gag da quello gagio, perché questa derivazione si sia verificata solo in Romagna, visto che le popolazioni Rom sono state presenti, anche nel passato, in tutto il territorio italiano.

Oltre agli esempi già citati dell’uso del termine gagio in Cina ed in Albania, occorre ricordare quanto già detto sulla permanenza delle popolazioni celtiche in Romagna. Se una popolazione è numerosa ha un senso che venga identificata in maniera gergale (pensiamo al termine gringo usata dai centro-americani residenti in America del Nord per definire la popolazione bianca, o a quello, dispregiativo, di nigger usato dai bianchi per gli uomini di colore, o ancora di charlie che, i nord-americani usavano nei confronti dei combattenti vietnamiti), mentre perde senso se popolazioni diverse che vivono in uno stesso paese riescono ad ottenere una buona integrazione o se, anche nel caso di mancata integrazione, i “diversi” sono pochi.

In Romagna, a differenza di altre zone d’Italia, le popolazioni celtiche caratterizzate da capelli biondi o rossi e occhi chiari formarono probabilmente gruppi numerosi che vissero per molto tempo, magari pacificamente, a fianco delle popolazioni di origine italica, e continuarono a mantenere per lungo tempo le loro caratteristiche somatiche assieme alle loro tradizioni culturali.

Quando, con il passare del tempo, le popolazioni si fusero non fu più possibile distinguere la cultura gallica da quella latina, mentre le caratteristiche somatiche, grazie alle leggi della genetica, continuarono a trasmettersi nel tempo, fino ai tanti romagnoli biondi che vivono ancora oggi.

Ciò che non si perse fu  l’abitudine di continuare a definire gag i portatori di queste caratteristiche genetiche.

Concludiamo ricordando che quella espressa è una teoria suggerita unicamente da alcune considerazioni di carattere generale nate dalla verifica dell’esistenza di alcuni (pochi) termini.

Sarebbe interessante indagare questa possibilità sulla scorta di approfondite conoscenze in campo linguistico ed etimologico, che purtroppo l’estensore di questo lavoro non possiede.

[1] Dr. Denis Sami, comunicazione personale.