Un’altra opera di ingegnera molto particolare nella Cesenatico di fine “700

Le saline di Cesenatico erano di minore estensione e molto meno produttive di quelle della vicina Cervia. Presentavano problemi di impaludamento a causa dell’ingresso di acque dolci di un tale rilievo (con le relative conseguenze sulla salute pubblica) che non si poté porvi rimedio; né fu possibile risolvere il problema spostando più lontano da esse l’abitato, come fece Cervia, dato che Cesenatico si trovava già sulla riva del mare, al contrario della sua vicina.

Per questo motivo si finì per chiuderle alla fine del “700 ed oggi di esse non rimane sul territorio la minima traccia, per lo meno a livello visibile; rimangono invece tracce documentali, e proprio grazie a queste è possibile identificare un’opera di ingegneria molto particolare, opera di cui si tratterà in questo lavoro, come era stato anticipato[1] su questo stesso sito.

Le saline vennero soppresse con il metodo detto “di colmata”. E’ un’opera spessissimo utilizzata nel passato per bonificare zone paludose – e proprio in paludi si stavano trasformando le saline di Cesenatico - che consiste nel prelevare da un corso d’acqua dolce acque contenenti sabbie, fanghi, detriti (le cosidette “torbide) che finiscono per depositarsi lentamente nelle zone basse del territorio da bonificare. A seguito di questa sedimentazione i terreni si compattano lentamente, rilasciando sulla superficie acque chiarificate che vengono poi fatte defluire verso il mare.

Dopo qualche anno l’opera è completata (a Cesenatico ci vollero 18 anni, dal 1778 al 1796) ed il terreno risultante può essere destinato alle colture agricole.

Il corso d’acqua da cui prelevare le acque dolci fu identificato nel torrente Pisciatello, e l’opera di presa fu realizzata all’incirca all’altezza dell’attuale incrocio di tale corso d’acqua con la via Canale Bonificazione (SP 98). Tale posizione è stata desunta confrontando una fotogrammetria attuale della zona con la mappa realizzata da Antonio Farini in quel periodo proprio per progettare il canale che doveva portare l’acqua alle saline[2]. Da notare che in tale mappa il corso d’acqua è indicato con il nome di “torrente Olca”[3]. Da qui partiva il canale che recava le torbide alle saline, lungo un percorso lungo il quale si costruì poi l’attuale via Canale Bonificazione).

A questo punto sorse però un problema: le saline si trovavano in tre aree distinte, una a sud del porto canale di Cesenatico (nella zona che oggi si definisce “levante”) immediatamente a ridosso della via A. Saffi, ma le altre due si trovavano “a ponente” (una aveva come centro la zona dell’attuale stazione ferroviaria, e l’altra era all’altezza di Zadina).

Mentre si poteva arrivare facilmente alla prima area con il canale di trasporto delle torbide, per le altre due zone bisognava attraversare, incrociandolo, il porto canale. Impensabile pensare, per il canale delle torbide, di ricorrere a tubazioni che avrebbero reso impossibile la navigazione nel porto canale, né si poteva realizzare un tragitto più lungo passando ad est, perché non ci sarebbero state le pendenze necessarie per garantire il naturale scorrimento delle torbide.

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Fig. 1
I tre ponti paralleli esistenti a Cesenatico fino alla 2a guerra mondiale: 1 – ponte San Giuseppe (chiamato comunemente “ponte del gatto” per corruzione del termine “gattòlo”, una chiusa posta sotto i suoi archi per la regolamentazione delle acque del porto canale; 2 – il ponte ferroviario; 3 – il ponte delle torbide (detto “ponte romano”)

La soluzione fu quella di realizzare un canale delle torbide che passasse “sopra” il porto canale; il canale delle torbide, che per tutto il suo corso era scavato in terra, per il solo tratto in cui i due corsi d’acqua si incrociavano diventava un’opera in muratura, molto simile ad un acquedotto romano (ed infatti “ponte romano” era chiamato usualmente dalla popolazione[4]).

Questo ponte in muratura rimase in sito anche dopo la bonifica e la completa sparizione delle saline, in quanto veniva utilizzato come passaggio pedonale tra un lato e l’altro del porto canale, e rimase al suo posto fino alla sua distruzione durante la 2a guerra mondiale. Rimangono alcuni documenti fotografici, uno dei quali è quello mostrato in Fig. 1, databile attorno al 1920, in cui sono visibili i tre ponti che si trovavano a poca distanza uno dall’altro.

Per rendere meglio evidente i tre manufatti si è aggiunta l’elaborazione grafica di Fig. 2.

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Fig. 2
Elaborazione grafica a falsi colori per meglio evidenziare le tre strutture mostrate nella Fig. 1.

Come si può notare il complesso risultante era quello mostrato dalle figure. C’era il ponte vero e proprio sul porto canale (1) chiamato “San Giuseppe” nella toponomastica ufficiale ma conosciuto popolarmente come “ponte del gatto”. Questa definizione nasce dal fatto che sotto le sue arcate erano presenti le chiuse (gattòli) per regimentare l’entrata e l’uscita mareale delle acque al fine di evitare l’insabbiamento del porto.

Residui di tali chiuse sono ricordate dall’ingegner Leopoldo Antonelli, incaricato di eseguire lavori di ristrutturazione sul ponte all’inizio del 1900[5]; per corruzione del termine “gattòlo” si giunse alle definizione ricordata.

C’era poi il ponte delle torbide (3) che faceva passare le stesse al di sopra del porto canale, come schematicamente illustrato in Fig. 3; diversi anni più tardi tra i due ponti ricordati fu realizzato il ponte ferroviario (2).

La costruzione del canale delle torbide, dal punto di presa presso Sala fino al suo inserimento nel porto canale, non dovette essere un’opera facile.

Le acque dovevano superare un dislivello di 4/5 metri, con una inclinazione non troppo spinta, per il pericolo di arrivare al porto canale senza avere l’altezza sufficiente per potervi passare sopra, ma anche non troppo lieve, per evitare che a causa della bassa velocità dell’acqua per insufficiente inclinazione le torbide si depositassero nel canale stesso anziché essere condotte alla zona da bonificare.

Inoltre, oltrepassato il porto canale, fu necessario costruire una barriera (elemento in muratura? in legno?) tra Fossatone ed il canale delle torbide. Infatti il Fossatone aveva lo stesso livello del porto canale, e quindi Fossatone e canale delle torbide per qualche decina di metri continuavano a scorrere ad un diverso livello (Fig. 5).

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Fig. 3
Visione schematica dei canali, da cui si evince facilmente come le acque portate dal canale delle torbide si trovassero ad una quota superiore di quelle del porto canale. In questo schema si è riportato anche il canale Fossatone, che partendo dal porto canale scorre verso nord-ovest e sul quale passava un ponte (presente a tutt’oggi) definito Ponte Cherubino in una mappa dell’epoca.

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Fig. 4
La mappa di Cesenatico risalente al 1740 realizzata dal canonico Domenico Viaggi mostra il solo ponte San Giuseppe; in quell’anno non erano ancora stati costruiti il ponte delle torbide e quello ferroviario. Si nota l’inserimento del Fossatone nel porto canale e il ponte Cherubino Sul lato di levante del paese si nota l’Ospizio di San Giuseppe.

Da quanto si è visto si può considerare l’insieme un’opera costosa e complessa per quei tempi, ed inoltre molto diversa dalle ciò che veniva realizzato usualmente in impianti saliniferi.

L’impegno profuso dalla Comunità di Cesena, sotto la cui giurisdizione cadeva allora Cesenatico, era volto a preservare la salubrità igienico-sanitaria del paese ed impedirne lo spopolamento. I cesenati puntavano infatti ad uno sviluppo sempre maggiore del porto, come risulta chiaramente dalla richiesta inviata al pontefice Clemente XIV nel 1771, in cui si chiedeva il permesso per la bonifica delle saline.

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Fig. 5
Schema della sezione del Fossatone e del canale delle torbide subito dopo l’attraversamento del Ponte Romano. Doveva necessariamente esistere un elemento di separazione tra i due corsi d’acqua che si trovavano a livello diverso.

Come si è detto non esistono documenti a livello visibile di queste opere; non è però escluso che continuino ad esistere residui murari (fondamenti del ponte delle torbide, elemento di divisione tra i diversi livelli, …) e che in occasione di eventuali lavori da realizzare in quelle zone possano venire alla luce.

[1] Era stato anticipato che esisteva quest’opera nel lavoro UN MOLINO SULLA RIVA DEL MARE - Una vecchia mappa testimonia una singolare forma di ingegneria idraulica nella Cesenatico di fine “700, pubblicato alla pagina STORIA, dove era stata mostrata un’altra interessante realizzazione.

[2] La mappa di Farini, come tutti quelli che riguardano l’opera di bonifica delle saline di Cesenatico, è conservato presso l’Archivio di Stato di Forlì-Cesena, sezione di Cesena.

[3] Questo è uno dei problemi ricorrenti in cui ci si imbatte quando si esaminano mappe che mostrano il Pisciatello, il Rubicone, la Rigossa e tutti gli altri corsi d’acqua della zona. I continui spostamento di tali torrenti, dovuti sia a cause naturali che a realizzazioni di opere artificiali, la costruzione di canali (a volte per iniziativa privata non sempre approvata dalle autorità del tempo) creava confusione nelle realizzazione delle mappe, che per questo motivo non risultano sempre coerenti. A questa confusione contribuiva spesso anche l’utilizzo di toponimi non ufficiali.

[4] Il termine “ponte romano” è stato trovato anche in una foto, scattata da Antonio Pedretti, ingegnere comunale nel periodo immediatamente dopo la 2a guerra mondiale, e che faceva parte di una pratica inviata a Roma per ottenere risarcimenti a seguito delle distruzioni belliche subite dalla città. Il testo della foto riporta, tra le altre cose, la frase “… ponte ferroviario e ponte romano completamente distrutti ,,,”.

[5] Beltrami, L. : Leonardo da Vinci ed il porto di Cesenatico, Milano, Allegretti, 1902.