Una vecchia mappa testimonia una singolare forma di ingegneria idraulica nella Cesenatico di fine “700.

Grazie anche a qualche fortunato ritrovamento documentale[1] da un po’ di tempo a questa parte si sta rinnovando l’interesse per le saline di Cesenatico, quel complesso di impianti per la produzione del sale dall’acqua marina, molto più piccolo ed assai meno importante di quelle della vicina Cervia, ma che, appartenendo anch’esse alla Camera Apostolica, rappresentavano un elemento importante dell’economia del papato. 

Soppresse attorno alla fine degli anni “700 a causa della loro scarsa produttività e dei problemi che avevano creato alla salute pubblica del paese, fu soprattutto il risultato della loro bonifica che colpì positivamente la popolazione locale: vista la vastità di suolo che la loro dismissione aveva permesso di trasferire alle pratiche agricole, si pensò di estendere ad altre zone del paese questo metodo per creare altro terreno da destinare all’agricoltura.

Si pensò in particolare all’ampia fascia costiera che divideva in quei tempi il paese dal mare, fascia allora paludosa ed inutilizzabile e che, trasferita geograficamente nella Cesenatico di oggi, iniziava verso la parte più a monte dell’attuale Via del Fortino e correva lungo tutta la costa fino alla foce del Rubicone; naturalmente il progetto non riguardava tutta quest’area, ma solo quel paio di chilometri che avevano interesse per il paese.

Fig. 1
La posizione del canale di deflusso delle acque e del molino in una mappa idrografica del 1820 circa, edita dal Magistrato delle acque del tempo. A quella data, però, il canale che alimentava il molino, e quindi il molino stesso, risultavano già dismessi, come si può notare dai brevi tratti trasversali che tratteggiano il canale (di cui si intravede la parola Fossa).
Con queste notazioni il curatore della mappa faceva notare che la mappa stessa doveva essere corretta.
Altre notazioni, ad esempio, erano la linea di costa che doveva essere spostata più avanti, e da riportare la presenza di un nuovo canale, la vena Mazzarini.
Nell’originale queste notazioni erano riportate in inchiostro rosso. In definitiva si trattava di un documento di lavoro, eseguito da un perito per ottenere degli aggiornamenti della documentazione.

Come nel caso della bonifica delle saline occorreva costruire un canale che drenasse le acque paludose per rendere coltivabile il terreno così liberato.

La mappa di Fig. 1 illustra il “molino”, che, come vedremo, aveva un ruolo importante nel progetto, costruito nella parte terminale di un canale di scarico delle acque chiare (definito sulla stessa mappa Fossa del Molino) canale che attraversava trasversalmente la zona levante di Cesenatico partendo nella campagna a monte di via Saffi.

In realtà il desiderio di iniziare il progetto non ebbe, almeno inizialmente, quella spinta così plebiscitaria che questa breve esposizione sembrerebbe sottintendere. Furono espressi dubbi sul successo dell’opera; nonostante la precedente riuscita della bonifica delle saline la paura che la vicinanza della costa potesse rendere difficile lo smaltimento delle acque paludose creò qualche perplessità nella popolazione; alcuni medici si schierarono invece a favore dell’opera: tra questi Romeo Zacchiroli e Ferdinando Galli Bibiena[2]. Senza entrare nelle questioni mediche così già ben illustrate nei lavori citati, basti ricordare che oltre alla paura di “smuovere arie malariche” si tenevano anche le rotte degli argini ed i conseguenti allagamenti.

Il metodo di bonifica utilizzato (metodo cosidetto “per colmata” – ved. Fig. 2) si rifà ad alcuni semplici principi di idraulica.

Fig. 2

Identificata una zona “bassa” che si voglia liberare da acque paludose (nel disegno indicata schematicamente da una fossa rettangolare) occorre scavare un canale che vada da un corso d’acqua naturale esistente (fiume, torrente o canale artificiale) alla zona bassa, e che abbia una pendenza sufficientemente elevata da trascinare verso la zona da bonificare, nel proprio moto verticoso, limo, sabbia, piccoli sassi e detriti. Questi finiranno per riversarsi, poco alla volta, nella zona bassa fino a posarsi sul fondo (fenomeno definito “decantazione”) fino a riempirla completamente. Contemporaneamente al canale prima descritto se n’era costruito anche un altro che conduce verso il mare, ma, al contrario del precedente, in questo caso la pendenza deve essere molto bassa, in modo che le acque trasportate scorrano lentamente, senza moto vorticoso, in modo tale da non trascinare con sé il terreno che ha riempito la zona bassa e che finisce per colmarla completamente.

Questa fu esattamente la tecnica utilizzata per bonificare le saline di Cesenatico, e che si voleva utilizzare anche per la zona costiera.

Ma per questa zona del paese c’era un problema in più, come si può chiaramente desumere dalla Fig. 3.

Fig. 3
La vicinanza con la costa impedisce un dislivello positivo per il deflusso delle acque chiare

Poiché ci si trovava praticamente sulla costa, qualsiasi tipo di canale di smaltimento delle acque paludose si fosse potuto realizzare finiva per venirsi a trovare ad un livello troppo basso per poter far confluire in maniera naturale le acque da smaltire. La parte più bassa del canale di deflusso si trovava sempre ad un livello più basso del livello del mare, sia in condizioni di alta che di bassa marea.

A questo punto non c’era che una soluzione: non far scaricare le acque direttamente in mare, ma in un bacino artificiale, o un pozzo (ved. Fig. 4) scavato in prossimità della costa tale da avere un livello di raccolta sufficiente a svuotare l’acqua, che sarebbe poi stata riversata in mare con una apparecchiatura progettata specificatamente.

Fig. 4
Soluzione con pozzo di raccolta

Il problema del sollevamento dell’acqua è noto fin dall’antichità, ed è stato risolto con infiniti metodi; il più semplice è quello di usare il lavoro umano, utilizzando persone che calano dei secchi nell’acqua e li sollevano con la forza delle braccia per riversali a mare, poi superato da quella attrezzatura chiamata “noria” (ved. Figg. 5 e 6) che può utilizzare forma motrice animale. Il fatto che nei documenti questo impianto venga sempre chiamato “molino” fa pensare che a Cesenatico si fosse deciso per il vento come forza motrice della noria, come gli analoghi impianti che esistevano ancora fino a poco tempo fa nelle saline siciliane, o come è tipico dei molini in Olanda; inoltre questa soluzione rendeva l’impianto indipendente dall’uso di animali da lavoro. Il pozzo in questione sarà stato costruito in materiali resistenti all’infiltrazione da parte dell’acqua di mare che, riempendolo, avrebbero vanificato il processo di svuotamento; quindi probabilmente sassi cementati con malta pozzolanica o analoga, secondo metodiche ben note all’epoca.

Figg. 5 e 6
Il concetto della noria (sopra) e una noria a trazione animale (sotto).

In realtà le esatte particolarità costruttive di questo impianto di svuotamento sono difficili da stabilire con esattezza, almeno sulla base degli unici documenti in nostro possesso[3]. Il pozzo di raccolta come è stato qui indicato, con un sistema di sollevamento utilizzante una noria mossa da un molino a pale è solo la rappresentazione generale di un’idea di massima; come si sia sviluppata la costruzione effettiva sarebbe dimostrabile solo se si trovassero ulteriori documenti. L’interpretazione dei particolari, molto piccoli, che compaiono sulla parte superiore al molino della Fig. 1 permette certo delle interpretazioni, ma il margine di incertezza è troppo ampio per dedurne indicazioni di qualche valore tecnico.

Fig. 7
I piccoli particolari della Fig.1 potrebbero essere interpretati come: A = la chiusa di intercettazione del canale (gattòlo); B = il pozzo di decantazione (a base rettangolare); C = l’apparecchiatura rotante per la movimentazione della noria?

Molto più chiara risulta invece la posizione del molino; trasportandone la posizione dalla mappa antica ad una moderna di Cesenatico, cosa che può realizzarsi anche con semplici interpolazioni grafiche[4], si identifica il punto della costruzione in un’area che sta approssimativamente all’ inizio di Via del Fortino.

Data la profondità che doveva raggiungere il pozzo, e la sua costruzione con materiali resistenti all’acqua (per i motivi sopra esposti) è pensabile che qualche traccia di questa costruzione debba ancora trovarsi in sito; infatti al completamento dell’opera di bonifica il molino, non più necessario, sarà stato distrutto nelle sue parti più rialzate, mentre sarà stato semplicemente riempito di terreno le parti più profonde, risultandone inutile ed antieconomica la demolizione.

Fig. 8
La posizione del molino trasportata nella topografia della Cesenatico attuale (quadratino rosso).

Per ridurre al minimo la probabilità che la zona dovesse tornare ad impaludarsi, e contemporaneamente estendere l’opera di recupero di aree destinate a pratiche agricole, riempito anche il canale del molino, negli anni successivi fu costruita la vena Mazzarini, che, a questo punto poteva godere delle condizioni geologiche sufficienti per essere costruito come un normalissimo canale di smaltimento delle acque.

Ma nelle saline di Cesenatico era presente un’altra opera ingegneristica molto particolare: un canale di scarico realizzato in quota, in modo da passare al di sopra di altri canali.

Vedremo questo caso in un prossimo lavoro.

[1] Tra i ritrovamenti si cita soprattutto il ritrovamento di una pianta molto dettagliata delle saline disegnata da Antonio Farini, effettuata da chi scrive e da Dino Manzelli, scoperta presso l’Archivio di Stato di Forlì-Cesena, pianta che dopo un recente restauro (anno 2022) attende l’occasione per essere esposta al pubblico.

[2] Le trattazioni mediche a riguardo sono state analizzate dal Dott. Giancarlo Cerasoli in due lavori: Ambiente e Salute a Cesenatico nel 1782. Il saggio sopra l’aria del Cesenatico di Matteo Zacchiroli; e: Ambiente e Salute a Cesenatico nel 1789. Il saggio sugli interrimenti degli Albajoni di Marina fatti per Alluvione nella Terra e nel Porto del Cesenatico, di Ferdinando Galli Bibiena; entrambi pubblicati su STUDI ROMAGNOLI, LXI (2010) Stilgraf, Cesena.

[3] Sono attualmente in corso alcune ricerche per cercare di identificare altri documenti relativi al progetto. Data la particolarità dell’opera è pensabile che siano esistiti schemi tecnici che ne tracciavano almeno le linee generali.

[4] In questo caso è stato utilizzata una semplice interpolazione su una mappa di Google Heart.