Luglio 2016

Molti sono gli antenati degli attuali cittadini di Cesenatico che hanno lavorato e lottato duramente per lo sviluppo del paese; difficile ricordarli tutti. La memoria collettiva ricorda i più famosi con lapidi alla memoria e monumenti, o affidandone il ricordo alla toponomastica urbana, ma solo nella memoria famigliare, e appena per qualche generazione, rimane il ricordo dei morti in guerra, nel lavoro, o dispersi in mare. 

Nella Biblioteca Malatestiana di Cesena è conservato un archivio di dati relativi ai patrioti del cesenate che parteciparono alle guerre napoleoniche, ai moti risorgimentali ed alle campagne garibaldine, relative ad un periodo di tempo che va dal 1797 al 1867.

Il lavoro di stesura fu iniziato, in maniera purtroppo disomogenea (dato che le informazioni provenivano da fonti diverse) da Adriano Loli Piccolomini (bibliotecario della stessa biblioteca dal 1877 al 1907) e proseguito probabilmente di Dino Bazzocchi e Angelo Merendi; le schede furono prodotte negli anni 1903-1904 in vista della partecipazione del Comune di Cesena ad una grande esposizione regionale, che si tenne a Ravenna nel 1904 su diverse tematiche, tra le quali il Risorgimento[1].

Tra di loro figurano molti cesenaticensi, alcuni dei quali portano cognomi ancora diffusi e ben noti anche oggi in paese (Battistini, Brandinelli, Caimmi, Cortesi, Dusi, Fusaroli, Lelli, Nardi, Poletti, Sancisi, Venturi, Zoffoli) assieme ad altri di cui oggi non si trova più traccia (Bonafava, Boscoli, Danden, Darderi, Favali, Mezzetti, Miliani, Scalini, Schiavon, Varischi).

Un altro testo che riporta liste di cittadini romagnoli che parteciparono alle guerre come combattenti nell’esercito napoleonico (e tra i quali risultano, ancora una volta, un gruppo di cesenaticensi) è il volume: I Romagnoli nelle armate napoleoniche, di Antonio Mambelli, Stampa a cura della Cassa dei Risparmi, Forlì 1969.

Ognuno di loro sarebbe da ricordare per aver dato la propria vita per Cesenatico ma, come detto, sarebbero troppi; alcuni però sono stati dimenticati forse un po’ troppo frettolosamente, soprattutto quelli che hanno svolto un ruolo fondamentale ed impegnativo.

Su uno di questi personaggi ha svolto una ricerca lo storico sanmarinese Pietro Franciosi, che si è occupato di indagare lo scenario della “storia minore”, relativa cioè a tutte quelle persone che, particolarmente in Romagna, lavorarono spesso anonimamente ma a contatto con altri che invece ricordiamo oggi come “i padri della patria”.

Franciosi, nato a San Marino nel 1864, dopo la laurea a Bologna (tra i suoi insegnanti ebbe Giosuè Carducci) aderì al socialismo e si impegnò nella fondazione di Società di Muto Soccorso. Contemporaneamente, chiamato da Giovanni Gentile a collaborare alla stesura dell’Enciclopedia Treccani, si occupò di storia e di insegnamento fino alla sua morte, avvenuta a Rimini nel 1935.

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Un ritratto di Pietro Franciosi

Pietro Franciosi ci ha lasciato, in un suo lavoro[2], un ricordo sufficientemente dettagliato (almeno dal punto di vista dell’impegno politico) di un cesenaticense del IXX secolo, Paolo Cortesi.

Paolo Cortesi nacque a Cesenatico il 30 Agosto 1832; i genitori erano Angelo ed Eufrasia Gusella; rimase vedovo della moglie, Maria Corelli, morta nel 1868, un paio d’anni dopo aver perso due figli, Ugo ed Ermenegilda[3]. Si iscrisse al partito repubblicano da giovanissimo, e tale rimase fino alla fine dei suoi giorni; combatté, come volontario, nel 1850 e 1860; nel 1856, in Trentino era tra le truppe di Garibaldi, e fu proprio in quella occasione che cominciò a conoscere i personaggi più in vista dell’area repubblicana; infatti scortò Garibaldi attraverso la Romagna quando il generale, dopo aver obbedito all’ordine di ritiro delle sue truppe da parte di La Marmora, ritornò sui suoi passi.

Immaginiamo che dovette comportarsi come il solito romagnolo esuberante e un po’ spaccone, così da entrare nelle grazie di Garibaldi che, a quanto dice Franciosi, rimase colpito da quel carattere vivace[4] e lo fece entrare in contatto con Aurelio Saffi, che a sua volta lo segnalò a Mazzini.

Il suo carattere, d’altro canto, ce lo rivela lo scritto dello stesso Franciosi, che nello stile classico dell’epoca lo ricorda come “… coraggioso e leale, per inclinazione naturale facile all'ira e impetuoso, ma di eccellente cuore …”.

Da quel momento Cortesi cominciò a lavorare su due fronti: pubblicamente, come rappresentante dei repubblicani, si occupò delle questioni tipiche di un funzionario politico impegnato nelle beghe di un piccolo paese; segretamente collaborando con gli esponenti nazionali repubblicani in una serie di operazioni clandestine.

Di una di queste operazioni, in particolare, è rimasta una traccia, come risulta da una lettera da Londra di Mazzini allo stesso Cortesi: era un invito a “spacciare”[5] trecento biglietti da una lira dell’Alleanza Repubblicana, con esortazione di collocarne un po' anche nell'Istria, luogo dì facile comunicazione con Cesenatico, utilizzando la via marittima.

Unita alla lettera, oltre i trecento buoni numerati della sottoscrizione firmati dal Mazzini, c’era una copia della circolare, pure firmata dal Mazzini, racchiudente le norme per la sottoscrizione.

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Nel periodo del suo esilio londinese Mazzini soggiornò in due diverse abitazioni, oggi identificate da due lapidi: al n. 10 di Layall Street (a sin.) ed al n. 5 di Halton Garden (a dest.)

 

Cortesi cominciò alacremente ad occuparsi di questa operazione, rapportandosi spesso con Aurelio Saffi e con Eugenio Valzania, come risulta da due lettere riportate da Franciosi; la lettera di Saffi sembra dare il via all’operazione clandestina:

Al Sig. Paolo Cortesi

Carissimo Amico, Forlì 3 Ottobre 1866

Mi valgo del mezzo di Gigi Romagnoli per scrivervi una riga di ricordo, e ringraziare, anche a nome di Nina, tanto voi che l'ottima vostra moglie delle cortesi ed amichevoli accoglienze, che mi faceste a Cesenatico.

Avrete forse ricevuto a quest'ora i documenti, dei quali vi parlai, e avrete, nello stesso tempo, veduto dai giornali dei sequestri, e le apprensioni del governo riguardo al medesimi a Milano. Ciò rende necessaria una maggiore cautela, nelle diverse località, pel sicuro collocamento de' detti documenti e per evitare fastidi per­sonali da parte della polizia.

Ottenuto che avrete un risultato qualunque, potrete parteciparlo diretta­mente all'amico Mazzini che v'inviò le carte, pel mezzo ch'egli avrà indicato, o che v'indicherà in seguito.

Io rimarrò qui colla famiglia in verso il 20 o il 25 del mese corrente; e se avrete bisogno di scrivermi, giovatevi di occasioni si­cure, evitando la posta, della quale non possiamo fidarci.

Addio, mio caro Cortesi. Conservatemi la vostra amicizia, ricordatemi con affetto ai vostri buoni amici di Cesenatico e di Cervia e con tanti cordiali saluti per voi e per vostra moglie, da parte nostra credetemi.

Vostro aff.mo amico Aurelio Saffi.

 

Quella di Valzania sembra invece una risposta ad una precedente lettera di Cortesi che avvertiva del pericolo per l’operazione rappresentato da non meglio identificate “persone” (probabilmente agenti anti repubblicani):

Mio caro Palin, le persone di cui tu mi dici non sono venute, ma se verranno non dubitare che saprò contenermi a seconda del tuo avviso. Già qualcun altro me ne aveva parlato, e tu sai che dell'esperienza ne ho abbastanza per non ingannarmi. Tu abbi cura alla tua salute ed ama sempre il tuo aff.mo amico. Eugenio Valzania, Cesena, 18 Ottobre.

Purtroppo non sappiamo nient’altro di Paolo Cortesi, salvo che venne ucciso da un a Cervia, la sera del 26 Agosto 1872; la versione ufficiale fu quella di un omicidio politico.

Rino Alessi, giornalista, scrittore e saggista, nato a Cervia nel 1885, ricorda il fatto in un paio di suoi libri[6], ma ritiene che la causa della rissa in cui Cortesi trovò la morte fosse da ricercare in questioni legate agli affari; altri fanno riferimento a questioni sentimentali[7]. Vista la posizione politica di Alessi (aderente al fascismo, compagno di scuola di Benito Mussolini a cui dedicò il libro “Il giovane Mussolini”, presidente della Federazione Nazionale Fascista Editori Giornali ed Agenzie di Stampa[8]) si potrebbe avere qualche dubbio sul suo punto di vista, pur ammettendone la sincerità di fondo.

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Eugenio Valzania

Probabilmente anche Alessi si rifaceva al noto carattere focoso di Paolo Cortesi già ricordato da Franciosi, e dava per scontato che tale carattere, ed i suoi conseguenti comportamenti, fossero un valido motivo per un omicidio nella Romagna di quel tempo.

D’altro canto erano anni in cui la passione politica e il carattere focoso si fondevano spesso (qualcuno ha ricordato la Romagna come “il Messico d’Italia”, con riferimento agli episodi sanguinosi che contrassegnarono la rivoluzione del paese sudamericano). Lo stesso Valzania non doveva essere certamente uno stinco di santo se, a quanto dice Liliano Faenza[9], “Palanchino” (era questo il sopranome di Valzania) era un “possidente terriero terribile”, che costringeva con la forza i suoi contadini ad arruolarsi, considerato mandante di una trentina di omicidi nei confronti di avversari politici e di (a dire del Valzania) traditori; fu anche promotore delle faide intestine dei repubblicane cesenati, che vedevano gli uomini di Valzania, a capo del “Partito del Coltello”, scontrarsi con il “Partito del Revolver[10]” guidato da Giuseppe Comandini, (sopranominato “Zanella”); erano tempi in cui, con una mentalità quasi da Far West, gli uomini si facevano giustizia da soli, non peritandosi di nascondere le proprie azioni da “giustizieri”.

Fondamentalmente era un comportamento non tanto dissimile, comunque, da certe operazioni che si compiono anche oggi, con la differenza che le azioni “poco pulite” vengono condotte in maniera occulta, affidandole a servizi segreti militari o a gruppi di fiancheggiatori radicali, permettendo ai politici di professione di mantenere immacolata la loro condotta pubblica.

Sulla sua tomba di Paolo Cortesi nel Cimitero di Cesenatico si poteva leggere, quando Franciosi era ancora in vita, la seguente iscrizione dettata da Giosuè Carducci; oggi la lapide è scomparsa.

TOMBA DI PAOLO CORTESI DI CESENATICO

UOMO E CITTADINO OTTIMO

SPESSO AFFRONTÒ’

NELLE BATTAGLIE PER LA PATRIA

LA MORTE.

EBBELA DA MANO ASSASSINA

LA SERA DEL 25 AGOSTO 1872

IN CERVIA.

GLI AMICI QUESTA MEMORIA POSERO

DI

ONORE ALL'UCCISO

INFAMIA ALL'UCCISORE

AMMONIZIONE AI MICIDIALI FAZIOSI

[1] Lo schedario è stato trascritto in maniera informatica ad opera di Loretta Righetti, Laura Lucchi, Carla Rosetti, Guia Lelli Mami e Paolo Zanfini, con il titolo: I patrioti di Cesena nei moti risorgimentali, ed è rintracciabile in rete.

[2] Franciosi, Pietro: Opere, Editore AIEP, San Marino, 1988.

[3] A Cesenatico esistono ancora suoi discendenti.

[4] Il generale, qualche tempo dopo, gli regalò una capra.

[5] Il termine “spacciare” utilizzato da Franciosi è lo stesso utilizzato da Mazzini nella sua lettera a Paolo Cortesi; differentemente dal significato attuale più comune, in questo caso aveva il significato di “collocare”. Il fine era, evidentemente, quello di raccogliere fondi per finanziare le operazioni dei patrioti.

[6] Alessi, Rino: Calda era la terra, Cappelli, Bologna 1958; La coltellata ed altri racconti, Il Ponte Vecchio, Cesena, 2002.

[7] Si dice che venne ucciso appena fuori Porta Cesenatico, mentre si era appartato per adempiere a necessità fisiologiche. A questo fatto la cultura popolare fece risalire il detto, molto usato nella Cesenatico degli anni seguenti e fino all’immediato dopoguerra: Bèli forzi amazè un che e’ c….! (Bello sforzo ammazzare uno che sta c….!)

[8] Aderente al fascismo fino all’ultimo, con la caduta del regime Alessi venne inizialmente sostituito alla direzione del quotidiano “Il Piccolo” di Trieste, ma ne rimase proprietario ed editore fino a che il 26 ottobre 1954, con il ritorno dell'amministrazione italiana a Trieste, poté ritornare a condurlo personalmente.

[9] Faenza, Liliano: La Retata, Gualandi, 1974.

[10] Da notare che, nella mentalità di quel tempo, il coltello era considerata l’arma degli uomini di valore, mentre il revolver quella dei vigliacchi. In questo senso il termine “Partito del coltello” affibbiato agli uomini di Comandini aveva un senso dispregiativo.