TARXIES
Residui di antichi manufatti
- Renato Cortesi
- Categoria: Storia
Settembre 2015
Le città, come un corpo umano, tendono a nascondere le tracce del proprio invecchiamento; nel caso dell’uomo si ricorre a tutti quei metodi che la cosmesi mette a disposizione, per le città è sufficiente il “rivestimento” che, sopra i segni dell’invecchiamento, viene posto in opera dalle successive modifiche urbanistiche.
Ma come qualche capello bianco o qualche ruga restano, a tradire la vera età delle persone, anche nelle città rimane qualche segnale a testimoniare le attività del passato, le scelte architettoniche delle passate generazioni, i ricordi di scelte di certi comportamenti.
Non si tratta solo di quello che mostrano le mappe antiche o i documenti nascosti nelle biblioteche, spesso sono anche rimasugli concreti, tracce fisiche, che basta saper osservare per scoprire presenti in qualche angolo, anche non troppo nascosto; sono particolari esistenti da tanto tempo che si finisce per darli per scontati, senza chiedersi il perché della loro presenza ed il loro significato come testimoni della storia di un paese e della sua popolazione.
Anche a Cesenatico è sufficiente percorrere le vecchie strade del centro per imbattersi in questi residui del passato, e ricavare da essi informazioni sul modo di vivere dei cesenaticensi di qualche decennio fa.
Diversi anni fa le abitazioni, sopratutte quelle più popolari, non possedevano gli impianti di acqua potabile, e molte persone erano costrette a ricorrere a fontane pubbliche; un elenco dei beni pubblici del paese, rintracciabile presso gli uffici comunali, ne riporta un elenco abbastanza cospicuo, distribuite sia in paese che nelle frazioni.
Alcune di queste sono rimaste e diventate elementi di arredo urbano, in particolare quelle fuse in ghisa e modellate secondo lo stile tipico dell’epoca; la più nota delle quali è probabilmente quella che si trova in Piazza Pisacane.
Ma c’erano fontane molto più spartane, semplici tubazioni che sbucavano da strutture murarie realizzate in maniera grossolana, dotate a volte di rubinetti ed a volte no, utilizzate per il solo prelievo dell’acqua potabile o, qualche volta, come lavatoio pubblico.
Le tracce di due di queste fontane si trovano ancor’oggi molto vicine a quella più nota sopra ricordata: una in Largo Cappuccini ed una nel vicoletto cieco che, partendo da Via Saffi, corre a fianco dell’Ufficio Anagrafe e dell’edificio dell’ex scuola comunale.
Più che di tracce dovremmo parlare di “ombre”, dato che si tratta delle impronte lasciate dall’opera di demolizione delle fontane stesse; dopo la demolizione la struttura muraria che le ospitava è stata malamente intonacata, lasciando così in evidenza l’impronta della loro presenza.
Quella di Largo Cappuccini si trova sulla prosecuzione del muro del convento; utilizzata per il solo prelievo dell’acqua, mostra ancora il gancio di metallo sul quale venivano appesi i secchi, oggi ripiegato verso il muro per non creare un elemento di possibile infortunio, probabilmente dagli stessi idraulici comunali che ne bloccarono l’erogazione asportandone il rubinetto.
Più grande era sicuramente quella sui muri dell’ex scuola comunale; in questa fontana la presenza di una rientranza alla base ne fa supporre la presenza di una vasca utilizzata come lavatoio.
Le due fontane non erano lontane da un edificio adibito a stalla per i cavalli[1], utilizzata dai vetturini pubblici, che si trovava a ridosso dell’attuale vicoletto che da Via Saffi conduce a Largo San Giacomo; sarà probabilmente servita anche ai lavori di pulizia di questo edificio, o all’abbeverata degli animali.
Un altro spunto per ipotesi su sistemazioni architettoniche del passato viene dai resti di quello che probabilmente era una cancellata, o un portone, alla fine del Vicolo della Torre, partendo da Via Fiorentini e procedendo verso il canale.
Quando il vicolo sfocia in Piazzale Ciceruacchio si notano sulla destra alcuni elementi che fanno pensare ad uno degli stipiti di un vecchio portone: i resti di una colonna, irrobustita alla base da un allargamento stabilizzante, probabilmente in cemento; a terra un paracarro, di quelli utilizzati perché i carri si tenessero lontani dagli angoli dei muri delle abitazioni; ultimo elemento una barra metallica fornita di occhiello, murata nella costruzione, chiaro segno di ciò che resta di un cardine.
Sul muro sono messi in evidenza alcuni mattoni, lasciati “a vista”, che danno l’idea di quello che era un muro antico.
Non si hanno elementi per definire che si tratti proprio di ciò; il restauro è abbastanza recente (probabilmente attuato per eliminare l’umidità) e potrebbe darsi che abbia solo voluto “dare l’impressione” di un muro antico.
È però vero che proprio da queste parti c’era il “palazzo Fiorentini”, come risulta da una mappa conservata presso l’Archivio Storico di Cesena[2], e che un progetto originale dell’architetto cesenate Giuseppe Achilli, datato 1784 e conservato nello stesso Archivio, prevedeva la costruzione di una “… Chiesa del Podestà, edificio in parte destinato al culto ed in parte ad abitazione del Sig. Podestà …” ed inoltre che “… detta costruzione dovrà essere costruita in parte su muri nuovi ed in parte su fondamenta di muri da abbattere …[3]”.
È vero altresì che qualcuno ancora ricorda un portone in questo punto[4], dove transitavano carri, trainati da cavalli, che trasportavano materiali, ed il fatto che fosse presente un portone fa pensare a merce stoccata presso qualche magazzino.
Ecco allora che tornano alla memoria quei “magazzini” mostrati (con il n° 18) nella famosa immagine di Cesenatico di Sebastiano Sassi.
Potrebbe trattarsi degli stessi magazzini, magari diventati privati, e rimasti con tale funzione merceologica fino agli anni antecedenti la 2° guerra mondiale? La colonna muraria ricordata potrebbe essere l’ultimo elemento di questa memoria architettonica.
Ci sono particolari, un po’ meno evidenti, ma la cui strutturazione contiene elementi che sono traccia di decisioni architettoniche ben precise.
Forse qualcuno si sarà chiesto, per esempio, il perché dell’andamento della vena Mazzarini. Questo canale artificiale è perfettamente rettilineo per un ampio tratto, ma verso la fine del suo percorso segue un percorso a “S”, per poi immettersi nel canale del porto; chiunque si sia occupato di costruzioni sa quanto sia molto più dispendioso realizzare manufatti curvi anziché diritti.
Il fatto si deve probabilmente alla necessità di utilizzare opere murarie già preesistenti, quelle che immettevano nel canale stesso un’opera già realizzata, quel canale del Molino che aveva lo scopo di drenare le acque altrimenti stagnanti di questa zona del paese, e che fu poi interrato con la costruzione della nuova vena.
Sono tutti piccoli particolari, ma significativi di una gestione del territorio che sarebbe bene non dimenticare.
[1] Comunicazione verbale all’autore del nonno paterno di uno degli autori.
[2] A.S. 1310/A.
[3] Per la storia di questa chiesa ed i disegni della stessa vedere: R. Cortesi, D. Manzelli, F. Cortesi. CESENATICO E I CAPPUCCINI. Storia di una chiesa, di un paese, dei suoi fedeli, amici ed oppositori, Stilgraf, Cesena, 2014, pagg. da 71 a 73.
[4] Informazione verbale da parte di Nerio Cortesi.