Perché non è possibile convincere con la logica gli oppositori del pensiero scientifico.

Da indagini statistiche compiute da note società demoscopiche, risulta che nella nostra collettività sociale, quella occidentale, siano moltissime le persone che credono negli oroscopi, nella possibilità curativa dei cristalli, nelle profezie di Nostradamus, negli intrighi di strani poteri occulti che tramite manovre sconosciute ai più inciderebbero sullo sviluppo della società, o a stranissime teorie cosmologiche; sembra che questa percentuale vada dai due terzi ai tre quarti della popolazione adulta, senza una grande differenza tra paesi nordici e mediterranei. 

Che siano semplici cittadini o facciano parte attiva di gruppi che di volta in volta si possono definire complottisti, terrapiattisti, ecoterroristi, amici degli extraterrestri o semplicemente seguaci della new age, questi individui hanno una mentalità contraddistinta da una caratteristica comune, da una sorta di duplicità.

Da una parte “credono” fermamente a teorie non comprovate dalla scienza e non sostenibili dalla logica, dall’altra “non credono”, altrettanto fermamente, a quanto afferma la scienza ufficiale, e sono refrattari al ragionamento logico; per questa loro comune propensione ad affidarsi all’irrazionale e non utilizzare la logica ci sembra più giusto possiamo accomunarli con il termine “mistici” (con tutto il dovuto rispetto alla mistica vera, quella filosofica e religiosa) piuttosto che in quello di “creduloni” (nel qual caso non dovrebbero presentare la caratteristica del “non credere” sopra ricordata).

Tentando di trovare una spiegazione per la maniera di interpretare il mondo di questo eterogeneo gruppo di persone potremmo utilizzare la psicologia, ma finiremmo per trovare molti motivi, proprio per la natura stessa di questa disciplina che indaga le esperienze personali, e non un motivo più generale, che ci permetta di formulare una tesi “di gruppo”, tale da inquadrare il fenomeno in una schematizzazione più sociale che personale.

Se invece utilizziamo l’analisi e le metodiche antropologiche scopriamo che alla base di questo comportamento c’è, una volta ancora, la suddivisione in classi politico-sociali della società umana, e l’influenza che tale suddivisione esercita sull’accettazione più o meno accettata, più o meno tollerata, del ruolo che veniva assegnato ad ogni gruppo sociale.

Le società, quando ancora si trovavano in quello che usualmente definiamo “stato tribale”, cominciarono a distinguere al loro interno particolari ruoli, necessariamente diversi tra loro anche secondo logiche gerarchiche; questo era necessario per far fronte a situazioni sociali sempre più complesse. In questo scenario emersero singole persone che si distaccavano dalla media per una maggiore abilità nella caccia, nelle pratiche agricole, ma anche nella comprensione dei problemi relativi alla convivenza comune; furono proprio da questi ultimi che vennero scelti gli uomini destinati a diventare capi, sacerdoti, condottieri militari. Ma la cosa non si fermò alla scelta di singole persone; si scelsero anche interi gruppi di uomini per formare quelli che per lungo tempo furono chiamati “consiglio degli anziani”, “riunione dei saggi”, e così via.

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Nuvola Rossa, capo della tribù Sioux (in piedi, terzo da destra) con il consiglio degli anziani.

Era una prima strutturazione di quell’organizzazione che diventerà poi la forma politica tipica dei nostri giorni, con un singolo capo (presidente, primo ministro, secondo le diverse forme politiche), un gruppo di persone che avevano l’incarico di coadiuvarlo ed un altro con il compito del controllo (il sistema di questo tipo oggi più diffuso, almeno nei paesi democratici, è quello della rappresentanza bicamerale).

Questa divisione in gruppi distinti si ampliò inevitabilmente, con il passare del tempo, aggiungendo altre classi che, a differenza di quelle iniziali contraddistinte dalla semplice logica del “chi prende decisioni e chi le segue”, erano caratterizzate dalle differenze economiche, da quelle culturali ed anche dalle differenti origini locali (“chi era nato in una certa zona e chi in un’altra”, questo quando una società fu costituita da persone che vivevano in territori con estensioni molto più ampie di quelle di una tribù primitiva).

La storia ci ha insegnato che in questa situazione la classe dirigenziale cercò di ricevere un aiuto al proprio incarico dagli individui più ricchi e più colti (positivo o negativo questo fatto possa essere considerato) per cui il gruppo che reggeva il comando finì in realtà per essere rappresentato ufficialmente dalle persone effettivamente scelte per questo ruolo, ma ufficiosamente anche dai rappresentanti dei ceti benestanti e colti, che contribuivano, con le loro idee ed i loro mezzi, a suggerire e sostenere le scelte politiche di quelli preposti ufficialmente.

Questa evoluzione sociale risponde ad una logica normale e, tutto sommato, anche auspicabile: mano a mano che le società diventavano più complesse è un vantaggio per tutti che chi detiene le leve del potere possa avere un numero sempre maggiore di persone sulle quali contare e farsi aiutare.

Fu proprio l’aspetto positivo di questa evoluzione del sistema politico che lo fece accettare dall’intera società, anche se, da un punto di vista puramente logico potrebbe apparire un metodo non proprio democratico se confrontato con l’antico sistema, inventato dagli ateniesi, dell’assemblea di tutto il popolo. Ma gli ateniesi erano pochi, ed era possibile pensare che si potesse attuare una forma di governo di persone intelligenti e disinteressate, disposte a lavorare volontariamente per il bene di tutti, a cui pensavano gli antichi filosofi greci quando parlavano di “governo dell’aristocrazia”.

Purtroppo la società non è perfetta, e in alcuni casi (questo punto teniamolo bene presente, solo “in alcuni casi”) può succedere che la classe dirigente allargata (ossia quella ufficiale che ufficiosa) tende ad interpretare l’assunzione di un ruolo politico più come un aumento di privilegi che un accrescimento di responsabilità, e può succedere che quegli individui “intelligenti e disinteressati” proprio tanto disinteressati non siano (o per lo meno alcuni di loro) e si arricchiscano a spese della collettività.

Purtroppo se chi prende decisioni si comporta disonestamente, chi le segue comincia a ritenersi truffato, e siccome una mela marcia fa marcire tutte le mele del cesto, e chi è stato truffato una volta diventa sospettoso anche quando non sarebbe necessario, a causa di quei singoli casi di malaffare non tardò a farsi largo l’idea che “coloro che sono al potere ingannano quelli che il potere lo subiscono”. 

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Tra tutte le figure delle classi colte quella del medico è una delle più legate al concetto di “potere oppressivo”, visto che da lui dipende la cosa che ci è più cara, la vita. Proprio per reazione a questo fatto le opposizioni contro i pareri medici sono tra le più bersagliate dai “mistici”.

Purtroppo l’uomo è più portato a dare per scontata l’evidenza del male che non la speranza di una evoluzione verso il bene, e così l’idea che il potere opprima sempre e comunque chi le leggi dettate dal potere le deve seguire è diventato ormai un topos della nostra cultura.

L’essere persone colte, quelle che erano chiamate a sostenere il potere,  finisce per rappresentare il marchio di appartenenza ad una classe che opprime, e le materie studiate da queste persone diventano tout court lo strumento attraverso il quale l’oppressione viene messa in atto; quindi la medicina, la legge, le scienze in genere vengono viste come materie delle quali è bene diffidare, in quanto strumenti per opprimere in mano al potere.

In definitiva il mondo di queste persone è nettamente diviso in due che non possono assolutamente dialogare: “noi” (gli oppressi) e “loro” (gli oppressori); è quel concetto così ben espresso dai popolani rappresentati dal Manzoni nei Promessi Sposi, che diffidavano del latinorum di don Abbondio.

In base a quanto detto ci sarebbe da aspettarsi che più è basso il livello culturale di una persona più questa idea sia marcata. Sebbene ciò sia vero in linea di massima, non è difficile verificare che spesso anche persone con un buon livello di istruzione mostrino una diffidenza più o meno marcata nei confronti della scienza, ma questo solo perché questi individui, grazie alle loro letture, hanno scoperto e fatto proprio (ma male assimilato) il principio fondamentale della scienza moderna, che “finché una teoria non viene smentita esiste la possibilità che sia vera”.

Tale principio è indubitabilmente corretto, ma deve essere valutato ed utilizzato con un certo criterio di intelligenza, in quanto non ci permette di pensare plausibile ogni affermazione proposta, anche la più strampalata; inoltre le stesse persone si dimenticano che un corollario fondamentale al principio ricordato è che “ogni fenomeno scientifico deve essere dimostrato tramite una o più ripetizioni che devono condurre allo stesso risultato”.

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Per limitarci ad un banalissimo esempio, non ci sarebbe niente di male se qualcuno sostenesse che il succo d’arancia spremuto durante le notti di luna piena (ma solo nei giorni dispari del mese) sia un ottimo ritrovato per curare la gotta, ma poi questa ipotesi dovrebbe essere dimostrata da esperimenti che portino alla sua convalida;ma se la stessa persona affermasse che “il motivo della validità di questo ritrovato dipende da un incantesimo realizzato della fatina delle arance per amore del principe delle Montagne Blu al tempo dei draghi volanti, come risulta dall’antico libro del saggio della luna”, credo che la maggioranza delle persone sane di mente non penserebbe di dimostrane l’inefficacia con un esperimento, ma suggerirebbe al proponente un buon terapista.

Eppure questo principio scientifico viene utilizzato da queste persone come parafulmine contro tutte le critiche che si vengono loro mosse, lo scoglio contro qualsiasi marea di oppositori. Non è neppure possibile discutere con loro tramite la logica, perché il ragionamento logico passa attraverso la mente cosciente, mentre l’avversione alla scienza, di cui certe persone sono evidentemente portatori atavici nonostante la loro cultura, affonda le radici in una zona del cervello più antico, quella zona limbica (detta anche “cervello rettiliano”) che la natura forniva ai nostri progenitori animali perché si salvassero con la fuga in caso di pericolo. Un dei punti di forza di questo antichissimo sistema era quello di essere diffidenti di tutte le novità, e la diffidenza si sente attraverso le emozioni, non con il ragionamento. Lo sanno bene gli addetti alla pubblicità, che sfruttano l’uso delle emozioni per stimolare gli acquisti di nuovi prodotti; lo sanno altrettanto bene quei politici che propongono il loro programma non attraverso ragionamenti, dati e tabelle, ma fanno ricorso a discorsi che stimolano l’avversione verso le proposte altrui, metodo utilizzato fin dall’antichità (ricordiamoci di Cicerone e del suo ”Per quanto tempo ancora, Catilina, abuserai della nostra pazienza?...”).

Ciò significa che è inutile, per fare un esempio relativo a fatti recenti, tentare di convincere chi si oppone alla vaccinazione anti-covid illustrando loro che il rapporto benefici/rischi è sicuramente maggiore della possibilità di gravi conseguenze per i non vaccinati: l’istinto (o, come si dice con una espressione che si sente usare sempre più di frequente, “la pancia”) porterà i mistici a negare sempre e comunque ogni dato basato su fatti concreti.