TARXIES
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Il matriarcato è uno degli argomenti più difficilmente affrontabili in antropologia culturale come in tutte le altre discipline sociali; quando si propone questo argomento, o qualcosa che ha a che fare con esso, si avverte immediatamente un’alzata di antenne, l’orecchio pronto a cogliere eventuali – o supposti tali – apprezzamenti o, al contrario, velate critiche su un argomento che tutti ritengono ormai solo appartenente alle vestigia di un lontano “68, ma i cui aspetti continuano ancora a regolare la nostra vita quotidiana e a smuovere risentimenti e rabbie mal celate.
Si è detto “velate” critiche perché nessuno osa più esporre apertamente ipotesi a sostegno delle forme patriarcali, temendo di essere linciato moralmente. Premettendo che chi scrive è d’accordo sulla parità di genere, ritiene però che la mancanza di critiche al matriarcato espresse liberamente sia una delle cause che più contribuisce alla confusione che circola su questo fenomeno. Naturalmente ci si riferisce ad argomenti seri e corretti – per lo meno ritenuti tali da chi li espone – e non alla comicità grassa e volgare o a battute scontate.
Un altro motivo di confusione è dato dal fatto che si confondono spesso i limiti tra realtà e mito del fenomeno, tra dati storici ed ipotesi che, per quanto proposte in maniera corretta, sempre ipotesi rimangono; e soprattutto rimane il tarlo sul quesito della effettiva esistenza, nel passato, di fenomeni matriarcali di una certa importanza, tali cioè da aver contribuito in maniera significativa sull’evoluzione della nostra società.
Difficile rispondere in breve alla seconda parte del quesito (esistenza e contributo); più facile provare a chiarire gli aspetti più nebulosi (limiti tra realtà e mito). A questo riguardo bisogna tener presente che qualsiasi fenomeno sociale ha una ricaduta sull’evoluzione culturale collettiva, sia che il fatto che sta alla sua origine sia effettivamente accaduto o meno, purché sia presente nella memoria collettiva in misura tale da aver prodotto un cambiamento facilmente quantificabile, così importante da essere considerato una “verità psicologica”[1].
Seguendo i metodi storici più elementari, quelli di una schematizzazione su base temporale, possiamo senza dubbio riportare come fenomeno storico più antico sul matriarcato quello del “menadismo”, quei riti eseguiti da donne (definite di volta in volta Menadi, Baccanti, Tiadi, Mimallonidi, Bassaridi, a seconda dell’area geografica e delle differenze nella ritualità) che danzavano e si agitavano al suono di una musica ossessiva prodotta da tamburi e campanelli, arrivando a raggiungere un livello di estasi euforica così violenta da scatenarsi, a volte, in atti di violenza su animali o persone.
Medea, relegata dalla damnatio memoriae al ruolo di assassina dei propri figli.
Già questo aspetto del matriarcato, interpretato fino al secolo scorso come una rappresentazione ideale di rifiuto dell’uomo (interpretazione suggerita soprattutto dalla tragedia Le Baccanti di Euripide) sembra essere ormai superata, alla luce di molti studi odierni, dalla visione di donne che si dedicavano a riti esaltanti la natura nella sua visione globale di forza assieme creatrice e distruttrice; la loro avversione ai classici ruoli di moglie e madre non era tanto un modo di opporsi al marito-padrone o di “avversione all’uomo”, quanto una “avversione al mondo interpretato dagli uomini”. Era un modo di dedicarsi ad un ruolo più antico ed universale, quello delle donne quali dirette discendenti di quella Dea Natura madre di tutti gli esseri viventi, e non solo dell’umanità[2].
A leggere bene il testo di Euripide si coglie già, nelle ritualità delle Menadi, un certo senso di estraniamento dal mondo concretamente vissuto, una percezione di sé stesse come “altrove delle origini e della natura[3]” che sembra semplicemente lasciare da parte, sembra ignorare il mondo maschile per dedicarsi ad una propria visione della vita; una visione che non fa caso alle differenze tra maschile e femminile, cerca di comprendere la natura nel suo insieme, ma non per questo ignora ritualità più legate all’acculturazione che alla natura, quelle legate alla nascita ed alla morte e quindi necessariamente anche al mondo ultraterreno.
Probabilmente fu proprio la difficoltà degli uomini a cogliere l’amore della Menadi per la natura nel suo complesso, mentre era molto più facile per essi percepire – ed attribuire maggiore importanza – al loro rifiuto dell’interpretazione maschile del mondo, che portò alla nascita del mito delle Amazzoni, e di seguito ad estremizzarne il concetto fino a farne delle guerriere che combattevano fisicamente contro l’uomo.
La donna in forma di uccello mostruoso (arpìa) è solo una delle tante immagini con antropomorfia bestiale con cui si rappresentarono entità femminili. Altre furono la Gorgone, la dea sumera Lilith, le tante donne serpente (in alcuni immagini medioevali anche il serpente dell’Eden era rappresentato in forma femminile). In tempi più recenti l’immagine perse l’aspetto animale mantenendo però il senso della morte e della paura, come nella Llorona delle culture sudamericane o nella Banshee irlandese.
Con la figura delle sirene compare un ulteriore argomento che depone a sfavore delle donne: l’inganno. E quale migliore forma di inganno poteva essere quello legato alle promesse amorose o erotiche?
Nonostante nell’antichità la loro esistenza venga data per scontata da molti (Strabone, Eschilo, Diodoro Siculo, Erodoto e soprattutto Omero) la probabile origine del mito si deve pensare venisse
semplicemente dal ricordo di alcune tribù della zona geografica compresa tra il medio oriente e le steppe caucasiche (particolarmente i Sarmati o popoli ad essi affini) dove era abitudine delle donne combattere al fianco degli uomini della propria tribù.
Lo stesso destino capitò anche a Medea. Sebbene venga ricordata “anche“ come una donna dotata di una notevole sapienza – alcuni filologi sostengono che già l’etimo del suo nome contenga questo concetto – prevale nel suo mito principalmente il ricordo della maga, della donna folle di gelosia che uccide la sua rivale e poi giunge a quel gesto che viene considerato il peggiore che può compiere un essere femminile: l’assassinio dei propri figli.
L’aspetto dello scontro fisico diretto con l’uomo tenderà poi a scemare nel tempo, se non altro come scontro con un uomo singolo, un po’ meno contro la categoria maschile. La donna assumerà l’aspetto di forze naturali, anche se interpretate con simbologia mitica: gli animali e le potenze climatiche. Allora ci saranno le donne arpìe, le donne serpente, quelle che si manifestano come draghi marini o trombe d’aria e tifoni (queste ultime tipicamente nelle culture asiatiche e paleoamericane). Le foreste, le paludi, i luoghi selvaggi in genere pulluleranno di entità mostruose con caratteristiche femminili, pronte a battersi con uomini che, troppo forti per essere affrontati direttamente, verranno attirati verso l’agguato con tranelli o con promesse ingannevoli, come nel caso delle sirene. Solo nel caso di uomini che sono troppo deboli per difendersi (è il caso dei bambini) queste mostruosità potranno assalirli direttamente: è il caso delle tante leggende di streghe antropofaghe (come nella fiaba di Hansel e Gretel o nel mito sumero di Lilith), di abitanti delle paludi che strascinano i bambini nei loro gelidi antri, di mostruosità che li rapiscono per sostituirli con la loro raccapricciante progenie.
L’universo estremamente complesso del fenomeno definito molto sbrigativamente come “stregoneria” accomuna, nell’immaginario collettivo, figure di donne molto diverse tra loro. In realtà alcune di loro svolsero un ruolo decisamente positivo e rivoluzionario (studiose di scienze naturali, erboriste, antiche operatrici di medicina popolare, libere pensatrici) mentre altre furono solo parassite al servizio delle classi dominanti (prostitute, mezzane, fornitrici di intrugli velenosi) sempre disposte a fornire il loro contributo alle lotte intestine dei potenti.
Però nel caso di figure dell’immaginario dotate di antropomorfia bestiale, la paura suscitata è legata al senso dell’orrido, del diverso, dell’anomalia; qualcosa di molto diverso dalla paura che si dovrebbe provare nel combattere un nemico dell’altro sesso, ma comunque nemico umano. Per questo motivo tale tipo di figura immaginaria di aspetto negativo, se pure spesso conserverà attributi femminili, finirà per perdere la valenza tipica della battaglia tra i sessi, e le figure ed i riti legati a questo particolare aspetto del fenomeno finiranno per confluire, poco alla volta, nel calderone delle tradizioni popolari e, come tali, non saranno più interpretate come uno dei tanti paradigmi a cui fa ricorso la cultura per mettere in evidenza le proprie contraddizioni.
L’arresto di una suffragetta
A rimanere più aderenti al tema rimarranno altri fenomeni, con i quali gli uomini riusciranno ancora a mascherare il desiderio di mantenere i propri privilegi nascondendosi dietro il paravento della difesa della civiltà.
Stiamo parlando di quel fenomeno estremamente complesso che fu la stregoneria e tutte le analoghe forme di comportamenti “fuori dagli schemi usuali”[4], di cui furono interpreti alcune donne fin quasi al periodo della rivoluzione industriale.
Fu solo con le rivendicazioni sociali delle attiviste femminili tra fine “800 ed inizi del “900 (le cosiddette “suffragette”) che venne messo definitivamente allo scoperto il vero nocciolo della questione: la lotta per la parità dei diritti. Se fino ad allora un uomo poteva opporsi al fatto che certi ruoli venissero affidati alle donne accampando gli usuali motivi (minore forza fisica, scarso senso razionale, difficoltà a mantenere la calma in situazioni difficili, ecc…) ora il motivo di fondo dello scontro era chiarito definitivamente.
Per questa ragione i movimenti femminili per il suffragio universale segnarono un punto di svolta nella storia del femminismo: se, come abbiamo visto, nel caso del menadismo si trattava di ritagliarsi un mondo a propria misura, riservato alle sole donne, se con i fenomeni genericamente definiti come “stregoneria” questo mondo riservato cessava di essere tale e pretendeva di divenire pubblico e considerato lecito, almeno per quanto riguardava alcune attività, con le suffragette la questione era definitivamente chiarita: le donne pretendevano gli stessi diritti degli uomini.
Il mondo degli studi accademici si mantenne un po’ defilato su questi argomenti. Ci fu chi, come Engels e Bachofen, ritennero indubitabile un antico periodo storico in cui il matriarcato precedette il dominio maschile, ma si limitarono solo a valutarne gli aspetti sull’economia il primo, sullo sviluppo antropologico il secondo; o chi, come l’antropologa Marija Gimbutas, tracciò una storia del potere femminile sfociato in una forma sociale assolutamente paritaria (da lei definita “gilanismo”) la cui esistenza, molto più difficile da dimostrare dello stesso matriarcato, forse nacque da un ingenuo desiderio che ciò potesse rappresentare un precedente per un eventuale sbocco di un matriarcato maturo.
Schema 1
Un ulteriore punto di svolta si ebbe in quel mondo di fermento nato nel periodo della contestazione studentesca degli anni “60 e “70 del secolo scorso. In quel periodo il fenomeno riprese forza, e per la prima volta, oltre alla lotta per la parità dei diritti, comparvero posizioni filosofiche radicali che prevedevano il predominio femminile o un mondo per sole donne. Erano gli anni in cui comparvero lavori come La mistica della femminilità di Betty Friedan, o Il mito dell’orgasmo vaginale di Anne Koedt. C’era però anche qualche femminista, come Nancy Fraser, che vedeva in queste impostazioni estreme il pericolo di fossilizzarsi su aspetti così particolari da far passare in seconda linea la lotta di classe[5], se non addirittura di dimenticarla.
In definitiva l’evoluzione del fenomeno potrebbe essere rappresentato molto approssimativamente come indicato nello Schema 1, sempre tenendo presente quanto grossolane possono essere, inevitabilmente, le rappresentazioni schematiche dei fenomeni sociali.
Il fatto è che ogni ognuna delle figure identificate dalle caselle dello schema rappresenta un modo diverso di intendere il ruolo femminile, per quanto tutte accomunate dal desiderio di non dipendere dall’uomo, ed ognuno di quei ruoli continua a persistere anche oggi ogni volta che una donna si domanda quale può essere il ruolo più giusto per sé stessa, nonostante sembri, guardando lo schema stesso, che ogni casella concluda “nel tempo” il ruolo femminile che rappresenta.
In parole povere la donna che immagina un suo mondo in modo diverso da come l’immagina l’uomo, quella che vuole vivere in una società mista ma con pari diritti degli uomini, quella che dell’uomo può farne a meno e quella che lo vorrebbe dominare, continuano a sussistere in ogni donna di questo pianeta. E questo fatto si nota ogni volta che si legge qualcosa a riguardo del femminismo o del matriarcato, e ancora di più se si assiste ad un incontro che dibatte questi temi, sia che si tratti di sole donne che misto.
Pensiamo che un chiarimento sia necessario, pena la perdita, per eccessiva polverizzazione, di un argomento del quale non si può comunque fare a meno.
[1] A questo riguardo vedere il lavoro “VERITA’ STORICHE E VERITA’ PSICOLOGICHE” alla pagina ARGOMENTI di questo stesso sito.
[2] E’ noto che si dedicassero all’allattamento, oltre che dei propri figli, anche di piccoli animali. Era il loro modo di personificare la Dea Natura come “madre globale”.
[3] Maria Concetta Nicolai: Scuotendo il tirso. Due conversazioni al femminile, Editrice suiDomina, Spoltore, 2020.
[4] Non è ovviamente possibile dilungarci sulla stregoneria in questa sede. Si vuole solo ricordare il problema della complessità di questo argomento, tale da aver permesso alla bibliografia di accomunarvi donne dai comportamenti profondamente diversi, alcune delle quali sicuramente colpevoli di atti antisociali, ma non certo di stregoneria.
[5] Molti degli scritti della Fraser non sono tradotti in italiano, ma è stato recentemente pubblicato un lavoro che ne riassume i concetti più noti. Si tratta di CAPITALISMO CANNIBALE. Come il sistema sta divorando la democrazia, il nostro senso di comunità e i pianeta, Laterza, 2023.