Dal mondo dei sogni alle astronavi interplanetarie

È già stato trattato più di una volta, anche su questo stesso sito, il problema del rapporto dell’antropologo culturale con la “verità” dei fenomeni esaminati; in particolare l’argomento è stato trattato con riferimento ad aspetti psicologici in un caso, ed in rapporto alle interpretazioni personali di normalissimi fenomeni fisici[1]

Nel presente lavoro si vuole esaminare il rapporto tra la genesi dell’immaginario simbolico ed il mondo onirico.

Esiste una bibliografia sterminata sui cosiddetti “fenomeni alieni”; basta entrare in una libreria qualunque (anche in quelle rinomate) per imbattersi in scaffali zeppi di libri che parlano di dischi volanti, rapimenti di esseri umani da parte di uomini verdi (con relativi esami medici sui poveri abitanti del nostro pianeta che, più che esami clinici, sembrano torture medioevali) visite notturne di esseri luminosi dalla testa smisurata e con enormi occhi, e via di seguito.

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Un graffito rupestre, probabilmente pre-colombiano, in America Centrale.

Tra i cultori di questa materia spicca particolarmente un gruppo di persone (che generalmente si autodefiniscono “esperti” del settore) le quali ritengono di poter fornire dimostrazioni logiche (si ha qualche difficoltà a definirle “scientifiche”[2], termine che invece è da loro spessissimo usato) di questi fenomeni con la metodologia che rappresenta uno strumento classico delle indagini storiche ed antropologiche: la comparazione.

Il metodo di comparare oggetti concreti, come manufatti ed immagini, ed altri meno concreti, dalle espressioni verbali fino a prodotti artistici, è indubbiamente uno degli strumenti, oltre che dell’antropologia, delle classiche discipline della conoscenza.

Quando a scuola abbiamo imparato uno dei primi criteri matematici che va sotto il nome di “proprietà transitiva”[3] abbiamo usato, anche senza saperlo, il metodo della comparazione.

È anche il metodo che usiamo normalmente quando confrontiamo tra loro le diverse altezze degli edifici, o i prezzi degli alimenti al supermercato, ma questa sua costante presenza nella nostra quotidianità ( e la nobiltà che gli viene dall’essere presente in matematica) non ci autorizza ad utilizzarlo come strumento di analisi in ogni occasione senza tener conto degli altri infiniti aspetti del fenomeno che stiamo analizzando (o, per riferirci ancora al linguaggio matematico, senza tener conto delle “condizioni al contorno”).

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Statuette della cultura Kulli, valle dell’Indo (2.600 – 1.500 a.C.)
Un primo banale esame dei manufatti può far proporre l’ipotesi di personaggi dal volto non umano. Visto che sembrano tartarughe, potrebbero essere i “rettiliani” ricordati da tanti ufologi?

Invece è usuale leggere, in quei libri che abbiamo prima citato, che “… lo strano copricapo rappresentato nei graffiti ritrovati nella Ayers Rock è troppo simile a quello attuale degli astronauti per non pensare che gli aborigeni australiani debbano aver incontrato un alieno dotato di scafandro…ecc….”, o di intravedere astronavi aliene nelle nuvole di un dipinto di Piero della Francesca.

Per quanto l’immaginazione, assieme alla curiosità, sia una delle molle della conoscenza (ed a questo punto è quasi sempre inevitabile, da parte degli esperti del paranormale, la famosa citazione di Einstein[4]) ed è quindi auspicabile che venga utilizzata, bisogna anche ammettere che la stessa immaginazione può portare a proporre più di un’ipotesi, e fra tante è preferibile dedicare attenzione a quelle che hanno qualche aggancio con le “discipline” come descritte nella nota 2, e ciò come semplice logica, senza scomodare l’altrettanto famoso “rasoio di Ockam”.

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In alto: un affresco raffigurante San Cristoforo con testa di cane.
Al centro: il particolare di un quadro di Salvador Dalì.
In basso: particolare di un dipinto del pittore svizzero Füssli, che rappresenta un sogno tormentato da incubi.

Tra queste discipline la psicologia e la psicanalisi, per esempio, ci hanno aperto le porte di quell’enorme universo che è il mondo onirico, e l’antropologia ci ha mostrato gli infiniti meccanismi delle logiche inventate dall’uomo.

Quando l’uomo che definiamo primitivo entrava, grazie al sonno, in quel mondo liminare tra la vita e la morte che è il sogno, vedeva cose che non trovavano riscontro nel mondo reale: perché non riportarle nel suo vivere quotidiano mediante l’unico metodo che conosceva (quello delle immagini) magari semplicemente perché gli ricordavano qualcosa di piacevole, oppure, nel caso contrario, per esorcizzarle con qualche rito?

E affinché l’ipotesi che abbiamo proposta sul motivo che sta alla base dell’origine di queste immagini non sembri troppo elementare, facciamo presente che qui abbiamo volutamente trascurato tutte le altre motivazioni, probabilmente più plausibili di quella ricordata, che antropologi, sociologi, studiosi di religione, psicologi ed altre cultrici di diverse discipline hanno proposto per questo fatto, non perché non siano importanti dal punto di vista euristico, ma solo perché ci interessa, in questo lavoro, trattare il solo rapporto tra il sogno e il “semplice desiderio di lasciarne traccia”.

In considerazione del fatto che il sogno è già, di per sé, una rappresentazione di idee che appartengono alla sfera umana ma che ci vengono proiettate attraverso immagini generalmente avulse dalla realtà concreta[5]; in considerazione che gli artisti (perché tali possiamo comunque chiamare anche quei nostri primi progenitori) sono notoriamente persone con una spiccata sensibilità e fantasia, anche visuale, perché non ritenere che tali manifestazioni pittoriche non possano essere altro che la trasformazione della loro immaginazione dei loro sogni?

Gli autori di quei simboli grafici non hanno fatto altro che aggiungere a qualcosa di tipicamente umano (il fenomeno onirico inconscio) a qualcosa di altrettanto umano (la loro fantasia conscia). D’altro canto questa somma di fattori non è altro che quel fenomeno che la nostra civiltà ha definito come “arte”.

Se poi volessimo proporre altre ipotesi sulla genesi di questi disegni potremmo anche parlare, se proprio desiderassimo inserire nel discorso abitanti di altri mondi, di abitanti di quelle dimensioni che non siamo in grado di percepire con i nostri sensi, diverse dalle tre che conosciamo, proposte da chi ipotizza la validità del mondo prospettato dalla teoria fisica delle stringhe[6]; se non altro è questa una teoria che perlomeno ha una sua giustificazione “almeno” scientifica, anche se contestabile. Ma sia l’ipotesi che la contestazione si basano su considerazioni matematiche, senza la necessità di scomodare omini versi e viaggi interplanetari.

Possiamo anche porci il problema in un altro modo, chiedendoci quali ipotesi potrebbero fare, sulla nostra civiltà, uomini di altri mondi atterrati sul nostro pianeta dopo un evento catastrofico che ci ha completamente distrutti, esaminando eventuali reperti residui scampati al disastro, come un’immagine medioevale di San Cristoforo dalla testa di cane, o dai quadri di Dalì: rappresentazioni di abitanti di lontane galassie o immagini partorite dalla fantasia umana?

I lavori proposti in questo sito trattano notoriamente di antropologia culturale, e questo rimane la sua finalità anche se, ad una prima impressione, questo potrebbe sembrare animato da intenzioni neo-illuministe, o far parte di quel tipo di stampa che viene definita “scettica”.

In realtà il suo scopo è quello di dimostrare come la logica umana possa incamminarsi su sentieri molto complessi, ma che la sua analisi debba passare da considerazioni corrette, senza lasciarsi tentare da interpretazioni stravaganti; è il dovere degli antropologi ma anche di tutti i ricercatori di altre discipline.

[1] Vedere: VERITÀ STORICA E VERITÀ PSICOLOGICA. L’atteggiamento dell’antropologo culturale nei confronti del problema della veridicità fenomenica; DA DENTRO O DA FUORI? Confronto tra origini organiche ed origini pseudo-scientifiche nella formazione delle teorie interpretative sulla genesi del fantastico, alla pagina “Argomenti”.

[2] Nel tentativo di esporre il più chiaramente possibile quanto è pubblicato in queste pagine, si ricorda ancora una volta che il termine “scienza” viene qui utilizzato in maniera molto ristretta, dedicandolo cioè a quelle attività per le quali è possibile il solo trattamento logico ed analitico (in definitiva il termine si può applicare alla sola matematica). Per tutte le altre attività è preferibile (ma è solo una scelta dell’autore) la definizione “disciplina”. Naturalmente non vengono considerate tali tutte quelle che non rispondono ai criteri popperiani e che, in accordo con certe tradizioni, possiamo continuare a chiamare “metafisiche”.

[3] Solo per i più smemorati ricordiamo che si tratta di quella definizione matematica che diceva: “Se A è uguale a B, e B è uguale a C, allora A è uguale a C”.

[4] La frase autentica di Einstein era in tedesco. Qui riporteremo una delle tante traduzioni tra quelle che si possono trovare citate un po’ dappertutto: “L’immaginazione è più importante della conoscenza. La conoscenza è limitata, l’immaginazione abbraccia l’intero universo”.

[5] Questa è un’affermazione che non ha bisogno di essere provata con metodo scientifico (viste le ipotesi di partenza) dato che appartiene all’esperienza generale del genere umano di tutte le epoche.

[6] Ricordiamo che la “teoria delle stringhe” della moderna fisica teorica, espressa per la prima volta nel 1968 dal fisico Gabriele Veneziano, che studiava il comportamento di quelle particolari particelle chiamate “adroni”, tenta di conciliare la meccanica quantistica con la relatività generale einsteniana. Secondo tale teoria le dimensioni del nostro universo non dovrebbero essere tre, ma undici.