Desiderio di un dio diverso o squilibrio mentale all’origine di questa cosiddetta nuova forma di religione?

Nel corso degli ultimi venti anni giornali e televisione hanno spesso riportato fatti di cronaca che avevano come protagonisti i cosidetti “satanisti”, ossia persone che compivano atti efferati (omicidi, torture, malversazioni) sostenendo le loro azioni come “atti sacrificali dovuti a dio”, e identificando questo dio di riferimento, quello a cui gli atti erano dovuti, nel demonio.

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Secondo queste persone (o almeno secondo l’interpretazione che i sistemi pubblici di informazione davano delle loro azioni) gli omicidi, le torture, erano forme di sacrificio né più né meno come quelli che altre religioni attuano quotidianamente alle loro divinità: così come i cristiani offrono le loro preghiere e il loro amore al loro dio (e anche il loro dolore, qualche volta arrivando persino ad auto infliggersi punizioni corporali dolorose, come nel caso di quei cattolici che indossano cilici realizzati con cordicelle annodate o a catenelle cosparse di aculei) i satanisti offrono il dolore di altri, perché è questo che pretende il loro dio, è la sofferenza degli altri il nutrimento del demonio.

Il modello di informazione utilizzato in questi casi non si è differenziato da quello classico utilizzato in tanti altri fatti di cronaca; anziché seguire la buona vecchia regola del giornalismo britannico di presentare “i fatti separati dalle opinioni” ha presentato gli autori dei misfatti come “seguaci” di una forma di religione aberrante, che aveva origine in culti del passato che la storia sembrava aver superato, e che invece è ritornata in auge grazie alla mancanza di valori etici tipica delle nostre giovani generazioni. Nessuno ha cercato di indagare sul vissuto psicologico di queste persone, di verificare se all’origine dei misfatti ci fosse un vuoto psichico che cercava disperatamente di trovare un oggetto sul quale scaricare probabili nevrosi; nessuno, soprattutto, ha cercato di verificare se il termine “religione” utilizzato in questo caso aveva ragione di essere.

Il fatto che fossero gli stessi autori dei crimini a utilizzare questo termine per identificare la loro appartenenza ad un gruppo ha portato a giustificare la mancanza di questa analisi: se gli autori dicono di appartenere ad un gruppo religioso, per quanto aberrante, perche mettere in dubbio questa affermazione?

Il pubblico si è trovato perciò ad essere sottoposto da una parte a questo tipo di informazione, dall’altra a fare i conti con le proprie nozioni provenienti dalla collettiva cultura storica che faceva affiorare i ricordi di streghe adoratrici del demonio, di banchetti nei quali ci si cibava delle carni dei fanciulli, di orge in cui neppure i legami famigliari erano rispettati, di riti sanguinosi che tanti romanzi e film di quart’ordine hanno contribuito a consolidare.

Anche gli “esperti” che la televisione non ha mancato di presentare in trasmissioni ormai di moda, quelle che pretendono di analizzare i comportamenti sociali basandosi su qualche immagine e poche notizie, ma soprattutto su opinioni che vengono più dai sentimenti che dal raziocinio, non ha fatto che rinsaldare questa interpretazione.

Altri, più preparati su questi argomenti, e dai quali ci si sarebbe aspettata un’analisi più accurata, semplicemente non si sono espressi.

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Non essendo degli esperti di psicologia o di psichiatria criminale non ci sentiamo di utilizzare questa disciplina per contestare l’opinione che i satanisti siano i seguaci di una nuova religione; riteniamo però che sia sufficiente un’analisi storica ed antropologica per dimostrarne l’infondatezza.

Possiamo cominciare ad analizzare l’immagine della strega e la nascita della sua immagine nella cultura collettiva, per capire quanto questa figura possa aver contribuito all’attuale interpretazione del cosiddetto satanismo.

Non nascondiamo che il fenomeno della stregoneria sia molto complesso, e che anche oggi, nonostante siamo in grado di averne un’idea più esatta di quanto si credeva nel passato, non tutti gli storici e antropologi hanno la stessa opinione. Tutti però convengono che più che di “strega” si dovrebbe parlare di “streghe”, dato che sotto questa etichetta sono state inserite, di volta in volta, personaggi estremamente innocui, come le sacerdotesse di culti pagani che officiavano i loro riti in periodi in cui la religione cristiana aveva già sostituito tutte le religioni precedenti; persone utili, come le erboriste o le fattucchiere, che cercavano di sopperire alla mancanza della medicina disponibile per tutti (e soprattutto per le donne, che erano costrette da convenienze sociali a ricorrere a mammane o a praticone di villaggio per i loro problemi tipicamente femminili); donne (ma anche uomini) di questo tipo erano presenti in tutto il territorio romagnolo fino agli anni “80 del secolo scorso. Ma indubbiamente erano presenti anche figure negative, dispensatrici di veleni su pagamento, o al soldo di qualcuno che le utilizzava per procurare danno o addirittura uccidere i propri nemici.

Al tempo dei romani la stregoneria era avversata dal potere, ma non tanto perché la si credeva in combutta con le forze demoniache, ma perché si riteneva che fosse un fatto socialmente negativo che qualcuno fosse in grado di interferire, con pozioni o altri metodi, nella vita degli altri, costringendoli ad atti e comportamenti non voluti dal soggetto sottoposto alla “malìa”.

C’era più il tentativo di difendere le persone dall’influenza di qualcuno che la paura del demonio. Oggi, usando termini attuali, diremmo che i magistrati romani volevano evitare il plagio; soprattutto erano spaventati dal fatto che ad essere plagiati potessero essere, in particolare, gli uomini pubblici, quelli dai quali dipendevano le scelte politiche dell’antica Roma.

Anche più tardi l’avversione alla strega non era motivata dall’idea che fosse un’alleata del demonio. Nell’anno 915 l’abate Reginone di Prum, nel testo del Canon Episcopi, scriveva:

“….Né bisogna dimenticare che certe donne, sviate da illusioni e seduzioni diaboliche, credono e affermano di cavalcare, la notte, alcune bestie a seguito di Diana, dea dei Pagani, assieme ad un innumerevole moltitudine di donne…….……[ ]…………….…i preti devono predicare con grande diligenza affinché si sappia con queste cose sono completamente false e che tali fantasie sono evocate nella mente non dallo Spirito Santo, ma dal malvagio…..è benché la donna esperimenti tutto ciò solo nello spirito, ella crede che avvenga nel corpo…”

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Secondo questo religioso si tratta quindi solo di illusioni, per quanto evocate dal demonio, e spetta soprattutto ai sacerdoti chiarire la sostanza del fenomeno.

Ma circa quattro secoli più tardi le cose cambiarono radicalmente. Il papa Innocenzo VIII, nella bolla Summa Desiderantes Affectibus, definì la strega “alleata del demonio”.

I motivi di questo cambiamento sono molti, e la loro analisi non è strettamente necessaria all’argomento di questo lavoro. Ricorderemo solo che tra questi motivi il principale fu, probabilmente, la decadenza del sistema politico centralizzato di origine romana, sostituito da innumerevoli centri politico-amministrativi; la Chiesa cercò di opporsi a questa frantumazione ponendosi come unica erede della tradizione culturale, e per fare ciò dovette identificarsi come soggetto politico. Questa decisione la costrinse a dotarsi di una struttura fortemente gerarchica, ad un atteggiamento più radicale, e quindi la portò ad essere meno permissiva nei confronti delle voci dissidenti in campo teologico, soprattutto nei confronti dei movimenti ereticali, tra i quali venne inclusa la stregoneria.

Un altro motivo va ricercato nella lotta tra forme patriarcali e matriarcali, presente in tutte le epoche ed in tutte le società, in particolare nella tendenza a combattere quelle figure femminili che cercavano di ricoprire ruoli socialmente importanti generalmente occupati da uomini, come quello dei medici o insegnanti.

Il potere di quel periodo storico incide quindi sulla cultura sostenendo una posizione della donna inferiore all’uomo, addirittura priva dell’anima (si sostiene che il termine foemina deriva da fede minus, ossia colei che possiede una “fede minore”) e pertanto più portata a cadere vittima del demonio, come dimostrerebbe il fatto che è stata proprio lei, nell’Eden, ad essere stata ingannata dal serpente.

È proprio il serpente (e il suo parente drago) ad diventare il simbolo della donna malvagia. Sono i primi passi verso la demonizzazione della figura della donna malvagia, e di conseguenza, di un livello etico inferiore per la donna tout-court.

In quei momenti si pongono le basi di tutta una simbologia del demoniaco (gatti neri, pipistrelli, caproni, voli a cavallo delle scope, messe nere, pentacoli) che diventeranno il bagaglio che accompagnerà l’immagine della strega fino ai nostri tempi, e che ritroveremo pari pari nella ritualità dei satanisti.

La cultura dominante del periodo sembra identificare il fenomeno della stregoneria solo quella parte “nera” delle avvelenatrici, che certamente sono esistite, come già abbiamo avuto modo di dire, e che furono probabilmente le protagoniste di messe eseguite con candele nere, croce rovesciata, sangue al posto dell’acqua santa, fette di rapa invece dell’ostia consacrata, secondo quel fenomeno detto di “inversione” che da solo, e senza essere psicologi, basterebbe ad identificare in questi gesti un rifiuto della morale corrente ed uno stato psichico malato.

Viene identificata l’immagine del caprone nel “pentacolo rovesciato” utilizzato in questi casi, anziché quello della stella del “pentacolo diritto”, come invece prevedevano certi riti pagani risalenti a periodi ebraici antichi, di cui esiste documentazione.

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Anziché il simbolo del pentacolo “diritto” la cultura del periodo inquisitorio privilegiò quello
del pentacolo “rovesciato”, assimilabile alla testa del caprone.

A tutto questo contribuì non tanto l’Inquisizione, ma una sua immagine distorta che ne diede poi la cultura illuministica. Oggi sappiamo che questa organizzazione fu un fenomeno certamente negativo e terribile, ma non era quella congrega di pazzi e misogini che questa corrente culturale ha contribuito a trasmettere.

Naturalmente venne proposto anche un modello femminile alternativo, quello della donna angelicata, rappresentata innumerevoli immagini da giardini fioriti, animali graziosi, intenta a farsi corteggiare da paggi e cavalieri.

Se passiamo ad analizzare il satanismo da un punto di vista antropologico non possiamo fare a meno di notare che, per essere definita religione, ogni fenomeno culturale legato al concetto di spiritualismo deve possedere alcune caratteristiche:

1. deve avere un’entità spirituale di riferimento

2. deve chiedere a tale entità di fornire all’uomo delle leggi morali, che generalmente sono comunicati a “prescelti”, trasmesse da questi agli uomini comuni. L’insieme delle leggi trasmesse all’uomo dai prescelti può essere definito “metodo”.

3. queste leggi devono essere tali da condurre “tutti” gli uomini alla felicità.

Si è cercato di rappresentare, per maggiore comprensione, queste logiche con lo schema riportato nella Fig. 1.

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Fig. 1 Le caratteristiche de fenomeno religioso.
Fig. 2 Le caratteristiche de fenomeno “satanico”.

Se analizziamo invece la presenza di queste logiche nel satanismo, convertendole con la logica del “rovesciamento” di cui si è già detto, arriviamo a concludere che la finalità dovrebbe essere l’infelicità (colonna centrale della Fig. 2) oppure alla sola felicità per alcuni (evidentemente gli adepti della setta satanica) come espresso nella colonna di destra della stessa figura.

Evidentemente entrambe queste soluzioni sono contrarie al concetto di fenomeno religioso per come lo abbiamo definito; quindi non si tratta di una religione ma tutt’al più di un fenomeno sociale di autoreferenziamento a sfondo patologico.

Concordiamo con quanto ebbe a dire delle streghe Friedrich Von Spee, alla fine del “600, studiando razionalmente questo fenomeno: “… donne che hanno bisogno più di elleboro[1] che di acqua santa …”.

[1] L’elleboro è una pianta che, nel passato, veniva utilizzata per curare malattie nervose.