TARXIES
Politeismo e monoteismo
- Renato Cortesi
- Categoria: Argomenti
La strutturazione del sistema religioso sembrerebbe obbedire, anche oggi, a norme dettate dalla necessità di organizzazione sociale.
È noto che le forme religiose antiche erano di tipo politeistico, e più arretriamo nel tempo più esasperato risulta essere stato il fenomeno, ossia sempre maggiore era il numero di divinità che popolavano l’universo spirituale dell’uomo.
L’estremizzazione, sotto questo punto di vista, era rappresentata dall’animismo: in questo caso le forme spirituali (prima manifestazione di quelle che poi diventeranno le divinità) erano praticamente infinite, in quanto gli uomini attribuivano un’essenza vitale magica ad ogni entità (animale o essere inanimato) che popolava il suo mondo, fosse quello reale o quello immaginato.
Con il passare del tempo il mondo delle divinità si fece sempre più strutturato, con un’organizzazione gerarchica e verticalizzata: c’erano entità più “potenti” ed altre meno, c’erano divinità “specializzate” ad attività particolari (protezione delle messi, protezione della salute fisica, divinità della guerra, ecc…), cominciarono ad essere stabilite anche forme parentali tra di loro (un dio padre, divinità figlie, …).
In definitiva gli uomini organizzarono i loro pantheon sulla falsariga di quella che era lo loro struttura sociale.
Le religioni pagane di quelle che furono le più importanti civiltà del passato, dai Sumeri fino ai Romani, erano costituite secondo questa logica; soprattutto la religione greca, con le sue alleanze tra divinità, lotte, intrighi, tranelli e bugie, sembra, tra le volgarizzazioni umane dell’universo spirituale, quella più simile al mondo degli uomini.
Se la strutturazione del mondo divino realizzato secondo lo schema noto dell’organizzazione sociale umana sembra, a primo avviso, la spiegazione più logica a questo fenomeno, non si può fare a meno di chiedersi il motivo della creazione di questa “struttura parallela”.
Perché gli uomini pensarono che un gruppo di entità divine, dotate di facoltà completamente diverse dalle proprie, mancanti di un corpo fisico, slegate dai vincoli terreni, quindi sicuramente non-umane e perciò tanto diverse dagli uomini stessi, dovessero essere legate tra di loro secono un modello che, invece, è strettamente connesso ad una cultura e ad un’organizzazione sociale “terrene”?
Perché non pensarono a legami completamente diversi, che rispondessero a quelle caratteristiche di estraneità che riconoscevano tra sé stessi e le divinità?
Il pantheon del mondo greco è la classica rappresentazione di un gruppo tribale, con legami famigliari, amicizie, gelosie, compiti diversi; il tutto sotto il costante controllo di un capo.
Tra le tante ipotesi che si possono proporre a questo riguardo, e che vadano oltre a quella banale di una semplice “copia” della propria struttura sociale concepita solo per mancanza di fantasia, si potrebbe pensare che un’organizzazione di questo tipo era quella che meglio rispondeva ai bisogni di una società che necessitava quotidianamente di “assicurazioni di protezione specifiche”; vale a dire che gli uomini sentivano il bisogno di avere una figura di riferimento “adatta” ad ogni particolare situazione di difficoltà che si presentava nel loro vivere quotidiano.
Si pensava, probabilmente, che un’entità divina che riassumesse in sé la totalità del numinoso fosse troppo presa nell’occuparsi della protezione dell’intero universo per poter prestare attenzione ai bisogni minimi di ogni singolo uomo, quindi troppo lontana (o troppo indaffarata?) per potersi occupare di ogni problema individuale.
Le ipotesi antropologiche che si sono occupate della genesi dei rapporti sociali sembrerebbero confermare questa ipotesi: sia la teoria strutturalista di Levi Strauss che quella funzionalista di Malinowky ci hanno fatto capire che una struttura sociale complessa ha bisogno di un impianto teorico numinoso altrettanto complesso, e questo risultato si può raggiungere solo con un universo divino di tipo politeistico.
Le divinità del passato rispondevano perfettamente a queste necessità: gli uomini avevano numi tutelari che li assistevano durante la nascita, mentre altri assistevano la madre durante il parto; erano poi accompagnati durante la fanciullezza da una serie di figure divine tutoriali che li seguivano passo per passo, senza dimenticare uno solo di quelli che noi oggi chiamiamo “steps pediatrici”, quasi fossero una serie di istitutori che si alternavano senza abbandonare per un solo attimo il loro pupillo. Una forma quasi maniacale di richiesta di protezione, come se l’abbandono del protetto per un solo istante lo facesse cadere inevitabilmente vittima del male in costante agguato, il che la dice lunga sull’aspetto nevrotico che può raggiungere il bisogno di rassicurazione.
Per dare un esempio di questo fenomeno si riporta un elenco di divinità che, nel periodo della tarda repubblica romana, erano “addette” (il termine ci dice quanto questa richiesta di protezione fosse considerata funzionale allo sviluppo sociale) al sano sviluppo di un fanciullo.
Va considerato che si tratta solo di un elenco parziale, e che ogni comunità aveva inoltre divinità locali.
- Vagitano: proteggeva i primi vagiti del bimbo.
- Paventia: proteggeva i bimbi spaventati.
- Statano: dava forza alle gambe dei più piccoli.
- Angerona: impediva che i bambini avessero affezioni alle tonsille.
- Libitina: faceva si che i funerali dei bambini fossero protetti dalle divinità maligne.
- Pertunda: proteggeva il solo primo giorno di matrimonio.
Esistevano anche divinità che proteggevano la lattazione, le prime parole, i primi denti, gli studi, l’attività fisica, l’addestramento militare, le vesti (da quelle infantili fino alla prima toga virile, la toga praetesta).
Angerona rappresentata assieme al dio egizio Carpocrate, a dimostrazione di quanto le dinamiche sociali complesse necessitino, a volte, di sincretismo tra religioni diverse.
C’erano inoltre una serie infinita di divinità che vegliavano sugli adulti (oltre naturalmente a quelli più importanti, noti a tutti) e che si interessavano anche delle più minute faccende: Adeona, che proteggeva i “viaggi di ritorno” (il che fa presumere che ci fosse una divinità per i “viaggi di andata”); Deverona, dedicata alla pulizia della casa; Edula faceva si che le carni commestibili non si deteriorassero; Eres vegliava sul conio delle monete; Sterculo favoriva la buona concimazione dei campi; Notodo proteggeva il grano (ma solo dalla germinazione al primo spuntare della spiga); era Robigo ad impedire che lo stesso grano si ammalasse di “ruggine”; Tutilina proteggeva le messi dopo la raccolta; Panda si preoccupava di tenere le strade libere dai briganti; Stata vegliava per impedire i principi di incendio.
Potremmo proseguire a lungo, ma quando riportato è sufficiente a dimostrare come per i romani di quel periodo (ma lo stesso si potrebbe dimostrare anche per altre civiltà) esistesse quasi una copia della società civile proiettata nel mondo del numinoso; le norme di buona condotta sociale trovavano una giustificazione ed un “rinforzo” nel riferirsi a questo doppione.
Ma è sopratutto il sistema archetipico di Jung che, analizzato da questo punto di vista, ci propone una serie di figure ognuna delle quali fornita di una valenza “primaria” per quanto riguarda l’assistenza che garantisce alla crescita spirituale[1] dell’uomo, il che ci sembra si adatti particolarmente all’ipotesi di una struttura religiosa creata per fornire un punto di riferimento a quella sociale.
Ci sembra, per esempio, che l’archetipo del “vecchio saggio”, assieme a quello del “divino fanciullo” altro non rappresentino che i due poli entro i quali è contenuta tutta la benevolenza e l’aiuto della divinità nei confronti dell’uomo, aiuto che, nell’uno e nell’altro caso viene fornita sotto forma di suggerimento; le due figure verranno interpretate in maniera nelle varie culture: dalle tante figure tutelari nelle religioni pagane, fino all’immagine stessa di Dio e di Cristo in quella cristiana (compresa la figura del Cristo infantile, molto più adatta all’archetipo del fanciullo nonché quella, tipicamente popolare, dell’angelo custode).
Parallelamente ai due archetipi ricordati (o forse sarebbe meglio dire “conseguentemente” ad essi) quello del “bene e del male”: gli dei dell’Olimpo e quelli degli Inferi per i pagani, angeli e demoni per i cristiani.
Ed ancora l’”eroe”, presente universalmente, sia che risolva i propri problemi (quindi quelli dell’uomo) mediante la forza o l’astuzia; proporre un esempio di questa figura rischia di farci perdere in un elenco infinito di nomi: Ercole, Ulisse, Prometeo, fino all’internabile elenco dei santi cristiani; sono le figure numinose dell’aiuto quotidiano, senza i quali la speranza che accompagna la vita dell’uomo sarebbe sostituita dalla sola disperazione.
Quando i teorici delle religioni, spinti da considerazioni filosofiche e spaventati dalla volgarizzazione che andava assumendo l’universo spirituale, tentarono di correre ai ripari proponendo una totalità cosmica basata su un solo principio fondante, fallirono nel loro intento; per quanto si sforzassero di imporre visioni complessive del numinoso, per la gente comune Padre, Figlio e Spirito Santo rimasero sempre tre entità diverse almeno “nel sentire comune e popolare”.
Anche in altre religioni si è verificato lo stesso fenomeno. Nel buddismo e nell’induismo, per quanto già sistemi filosofici ed etico–morali più portati, rispetto al cristianesimo, a considerazioni teoriche e mistiche, l’insegnamento dottrinale che le varie divinità devono intendersi come particolari aspetti di un’unica energia cosmica, una forma assunta dall’energia globale in particolari situazioni (i cosiddetti avatar) non trova fortuna presso il popolo: per gli orientali Shiva, Visnù, Budda, Bodhisattwa rimangono e rimarranno sempre entità diverse, ognuna con i loro templi, i loro seguaci ed i loro culti specifici.
Il motivo di ciò si deve imputare al fatto che un modello basato su un unico “dio globale” non è funzionale allo sviluppo di una società complessa: sarà forse la verità, sarà un fatto ben chiaro a teologi e filosofi, ma non è sentito dalla gente comune, perché “non serve”.
Per concludere si vuole sperare che l’ipotesi espressa in questo lavoro sia valutata correttamente per quello che è, ossia solo un tentativo di spiegazione, secondo regole le più possibili razionali, del sistema di strutturazione dell’universo religioso, e non per una giustificazione della svalutazione di questo stesso universo, che risponde invece a valori di più alto contenuto.
E questo che si sia credenti o meno.
[1] Il termine “crescita spirituale” deve essere pensato come svincolato, in questo caso, dal comune concetto di “religiosità”, e più simile al concetto di “sacralità” proposto da M. Eliade.