TARXIES
Parenti nucleari e parenti prossimali
- Renato Cortesi
- Categoria: Argomenti
Sono esistite in passato logiche parentali che sembravano favorire alternativamente ora un sesso ora l’altro, senza però prevalere mai definitivamente.
I legami parentali sono sempre stati uno dei fenomeni più studiati dagli antropologi culturali, visto che innegabilmente sono una delle forme associative più antiche e diffuse.
Elemento originario dei più alti sentimenti per qualcuno, fonte di tante disgrazie capitate all’umanità per altri, la famiglia ed i rapporti che ne conseguono sono così presenti nella nostra vita che diamo per scontate le organizzazioni gerarchiche conseguenti, e gli altrettanto conseguenti “rapporti/obblighi” di “obbedienza/amore” che ne derivano.
In parole povere la nostra obbedienza ai genitori è diventata quasi un fatto fisiologico, come diamo per scontato che un certo ribellismo adolescenziale sia un fatto normale, altrettanto normale come un riavvicinamento tra genitori e figli dopo il matrimonio di questi ultimi e, soprattutto, dopo la nascita del primo nipote.
Allo stesso modo è quasi universalmente accettata la posizione del padre come capofamiglia; pur ammettendo legittima e sacrosanta la lotta dei movimenti per la parità dei sessi, e pur auspicando una parificazione dei diritti fra i due sessi, bisogna comunque ammettere che tale parità ha inciso poco (quando addirittura mai) sull’evoluzione culturale della nostra società che è e rimane fondamentalmente patriarcale (almeno negli ultimi tre o quattro millenni) e che questa struttura è quella che rimane incisa nella mentalità della stragrande maggioranza delle culture odierne, da quella che definiamo “cultura occidentale” fino a quelle dei paesi in via di sviluppo o quelli terzomondisti.
La scoperta di qualche residuale forma matriarcale in alcune tribù centroafricana o amazzonica continua a rimanere un fatto culturale marginale, interessante da un punto di vista antropologico e sociale ma insignificante nell’evoluzione di quella che è oggi la cultura dominante; così come è indubbiamente interessanti, ma è stata altrettanto poco significative, sono state le indubitabili società matriarcali del passato, come quella la proto-minoica, o i miti e le leggende delle amazzoni o delle valchirie.
In realtà, oltre alle forme parentali che ci sono note, ne sono esistite altre, con legami e gerarchie molto diverse da quelle alle quali siamo abituati.
Prendiamo in esame, per esempio, la struttura famigliare dei nativi americani del Nord (tribù degli Uroni ed Algonchini) che furono studiate per la prima volta da Joseph François Lafitau.
In questa cultura la famiglia possedeva una forma comunitaria (oggi la chiameremmo “famiglia estesa”): un bambino considerava “padre” sia il padre naturale che i fratelli di questo, mentre le sorelle del padre erano chiamate “zie”.
Fig. 1
La struttura famigliare Urone e Algonchina:
F figlio
P padre naturale
FP fratelli del padre
SP sorelle del padre
La struttura che riguarda il ramo materno era completamente simmetrica.
Seconda questa stessa logica il bambino chiamava “fratelli” i figli dei fratelli del padre, e “cugini” i figli delle sorelle del padre.
A prima vista sembrerebbe una forma parentale che tendeva ad assegnare un ruolo predominante alla figura maschile, e tale sembrò in un primo tempo anche a Lafitau, che dovette però ricredersi quando si accorse che gli stessi bambini consideravano “madre” non solo la propria naturale, ma anche le sorelle di questa (e “sorelle” le loro figlie), mentre chiamavano “zii” i fratelli della madre (e conseguentemente “cugine” le figlie dei maschi).
Quindi una struttura completamente simmetrica, che assegnava un ruolo primario ad entrambi i genitori; erano questi a definire una sub-gerarchia: ognuno dei genitori era comprimario di un’ascendenza prioritaria che trasmetteva esclusivamente ai parenti dello stesso sesso.
Per quanto riguarda la logica che ha dato origine a questo fenomeno, si può ipotizzare che probabilmente un uomo ritrovava una maggiore vicinanza con i fratelli (date le similitudini morfologiche) che con le sorelle; d’altro canto non poteva disconoscere la trasmissione ereditaria[1] per cui finì per creare un modello che possiamo schematizzare con l’immagine riportata nella Fig. 3.
Nativi americani della tribù Algonchina.
Vale a dire che in quella che era l’eredità trasmessa da un genitore di un determinato sesso (che abbiamo schematizzato come un uovo) un individuo di quella cultura ne riteneva una parte più simile alle proprie caratteristiche morfologiche – i parenti nucleari – ed un’altra meno vicina, per quanto derivante dalla stessa eredità parentale, e quindi con qualche caratteristica differente - i parenti prossimali - (anche in questo caso la discriminante era sempre la morfologia).
La finalità di queste logiche sembrerebbe indirizzata alla creazione di una struttura gerarchica.
Una gerarchia con pari grado tra fratelli e sorelle pareva probabilmente troppo estesa, rendendo difficile l’imporsi di una figura guida; imponendo un ruolo primario ora ad un sesso, ora all’altro, si poteva sperare che una delle due classi potesse fornire una figura dotata di carisma sufficiente ad imporsi sugli altri.
Una forma di relazioni parentali di questo tipo la contraddistingue, ovviamente, da quelle matriarcali e alle successive patriarcali, apparentandola più a quelle gilaniche ipotizzate da alcuni autori per l’area mediterranea proto-minoica.
Forse la cultura di questi gruppi ebbe, in un primo tempo, un periodo matriarcale: si ricordano, presso gli algonchini, alcuni riti che prevedevano le donne nel ruolo principale, come quello delle “nozze delle reti”; bambine venivano simbolicamente unite in matrimonio con gli attrezzi da pesca della tribù (da cui il nome della cerimonia) al fine di favorire la pesca stessa.
Quando gli europei arrivarono nel continente americano esistevano pochi casi come quelli studiati da Lafitau presso gli Algonchini e gli Uroni[2]; nella maggioranza delle tribù dei nativi americani vigevano forme patriarcali.
Fig. 3
La schematizzazione “ad uovo” delle forme parentali presso Uroni ed Algonchini.
Non è escluso che forme parentali di questo tipo, che potremmo definire “a modello incrociato” siano esistite anticamente anche in Europa, ed averne lasciato una traccia, ad esempio, nell’ abitudine di dare un “padrino” (cioè un tutore maschio) ai bambini ed una “madrina” alle femmine in alcuni riti della religione cattolica (ad esempio nella cresima).
Il fatto che invece in altre cerimonie, come il battesimo, ci sia esclusivamente una madrina, indipendentemente dal sesso del bambino, non inficia questa teoria.
In questo caso, infatti, se il concetto del padrino è quello di essere il sostituto dei genitori in caso di morte di questi ultimi, questo ruolo, nel caso di bambini appena nati, non potrebbe comunque essere preso da un uomo, essendo, in questo caso, prevalente la necessità del sostentamento alimentare del piccolo, che poteva essere sostenuto solo da una donna mediante l’allattamento.
In questo caso, cioè, l’aspetto pratico sarebbe stato prevalente rispetto a quello imposto dalla regola parentale del modello incrociato.
[1] Naturalmente l’espressione “eredità genetica”, qui utilizzata con termini attualizzati alle nostre attuali conoscenze, va interpretato relativamente a quelle che potevano essere le conoscenze (ed anche le credenze) degli Uroni e Algonchini di quel periodo.
[2] Il fatto che questa struttura parentale assumesse un’ideale forma simmetrica, ha un interessante parallelo con quanto succedeva nell’arte grafica di quel popolo, dove “i disegni prediligevano segni grafici simmetrici” come si rileva da: K. Birket Smith, A Geographical Study of the early History of the Algonquinan Indians, Leida, 1918.