La costanza dei simboli non sempre implica la costanza del loro significato.

Così come gli archeologi e gli storici cercano di interpretare gli avvenimenti del passato, altrettanto l’antropologo cerca di fare per quanto riguarda le culture: si tratta di proporre delle ipotesi sulla scorta del ritrovamento, più o meno fortuito, di quelli che potremmo definire come “residui sociali”. 

I primi si trovano per le mani un elemento concreto (un documento scritto, un coccio di vasellame, un’arma) che, pur nella difficoltà di essere adeguatamente collocato all’interno della struttura di quella particolare nicchia culturale, continua ad informare, con la sua sola presenza, di quello che era la funzione primaria; potrà essere difficile interpretare un testo di una civiltà scomparsa (anzi, a volte risulta impossibile), capire esattamente la forma ed il periodo di un vaso, il metodo di fabbricazione di una spada, ma ognuno di questi oggetti fornisce innanzitutto l’informazione che sono stati fabbricati per trasmettere un’informazione, per contenere un liquido, per affrontare un nemico: vale a dire che la funzione fondamentale di quell’oggetto (quella che Platone chiamava “la sua propria virtù”) è chiaramente indicata proprio dall’oggetto stesso.

Per gli antropologi il problema è diverso (non maggiore o minore, forse maggiore o minore, sicuramente diverso).

Il “residuo sociale” è raramente un oggetto; molto più frequentemente si tratta di un’informazione non scritta, di un gesto, di un ricordo tramandato da generazioni ampiamente posteriori a quelle che hanno generato il fenomeno che è stato comunicato proprio da quel ricordo che diviene oggetto di analisi; in questo caso non esiste la sicurezza della sua “virtù platonica”: se una spada è stata costruita necessariamente per affrontare un nemico (non è pensabile che venisse utilizzata per affettare il pane) altrettanto non si può dire di un gesto qualunque, del modo di salutare una persona, dell’appellativo di un manufatto.

Se quella spada è stata costruita per ferire, questo concetto rimane valido in qualunque paese ed in qualunque tempo; al contrario un gesto può cambiare significato a seconda della cultura che lo utilizza e, per la stessa cultura, a seconda del periodo in cui viene utilizzato.

Poiché è abbastanza logica la variazione del significato per culture diverse[1], prenderemo in considerazione l’aspetto che sembra meno intuibile, ossia la variazione del significato di un gesto all’interno della stessa cultura nel passare del tempo.

È necessaria però una precisazione: per “stessa cultura” dobbiamo definire quella che nasce da origini storiche comuni e che, pur nel passare del tempo, possiamo considerare sempre la stessa (come la cultura inglese, o quella dell’Italia nord-orientale, e così via); se diamo per scontato che i due gruppi sociali che abbiamo preso ad esempio divengano necessariamente, a causa del tempo trascorso, due culture diverse, ricadiamo nel primo caso, e le cose che diremo non si adatteranno alle considerazioni che seguiranno.

Per analizzare questo fenomeno prenderemo in considerazione un gesto diffuso in tutto il mondo, anche se molto più utilizzato nelle culture mediterranee: quello che, nel linguaggio usuale, è detto di “fare le corna”.

Innanzitutto occorre analizzare l’origine “fisica” del gesto (non quella concettuale, che ne diviene poi il significato); come succede sempre tutte le volte che gli uomini mimano qualcosa con le mani, il tentativo è quello di “copiare” qualcosa che già esiste in natura, di trasmettere l’immagine di una cosa presente e comune nel loro universo fisico, e che quindi può essere capito facilmente da chi assiste a questa operazione.

Per questo motivo è indubbio che il gesto manuale di fare le corna, per noi uomini contemporanei, richiami le corna degli animali, ma per le popolazioni antiche, più attente all’universo cosmico di quanto lo siamo noi oggi, poteva indicare anche la luna, oppure un arco, o l’arcobaleno.

È sufficiente esaminare la simbologia espressa da statue o dipinti antichi per rendersi conto di quanto questo sia vero, soprattutto per quanto riguarda l’astro notturno.

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Alcuni esempi di come il simbolo della luna sia stato importante nelle culture del passato, e di come tale simbolo si possa trasformare “anche” in quello delle corna.

Per quanto riguarda il gesto delle corna immaginato come rappresentazione della luna, possiamo allora provare ad analizzare l’interpretazione simbolica della sua immagine (rapporto significante – significato).

La luna ha sempre rappresentato, nelle culture antiche, il concetto della ciclicità perenne: nascere, crescere e morire, per poi ripetere infinite volte questo stesso ciclo, non poteva essere meglio rappresentato che dalle fasi lunari.

Ecco perciò che un primo significato simbolico delle corna potrebbe essere quello della ciclicità, o comunque della continuità della vita.

Se poi consideriamo che la “fattrice” degli uomini è la donna (quindi è lei che permette l’esistenza della vita attraverso il fenomeno della ciclicità) e che gli astri hanno contribuito a creare l’idea delle divinità, arriviamo facilmente ad assegnare alla luna, intesa proprio come divinità, una caratteristica femminile.

Ecco un secondo significato, molto noto: la luna come divinità femminile[2].

Ma possiamo fare ulteriori passi. Poiché la luna era vista come un fattore che influenzava in modo positivo lo sviluppo della vita, il concetto precedente si amplia: la luna è una divinità femminile “benigna”, e quindi in questo caso la valenza del gesto diventa “anche” positiva; ma poiché la mente umana è sempre più complicata di quello che possiamo immaginare, non potevano mancare dei “distinguo”, ed allora si cominciò a pensare che se l’influenza di una divinità avrebbe potuto anche essere negativa, si cominciò a distinguere tra luna calante e luna crescente, che portavano, ovviamente, a due interpretazioni di segno opposto[3].

Ma vediamo anche un caso diverso, dove l’interpretazione simbolica nasce dalle corna degli animali, e si aggancia alle logiche scongiuratorie.

Secondo le logiche dell’antica magia persone malevoli potevano indirizzare un sortilegio negativo verso una persona (la cosiddetta “affatturazione”) servendosi dello sguardo per compiere la loro azione; in altre parole gli occhi erano la via per arrivare all’animo dell’affatturato (si pensi alla mitologia di Medusa che pietrificava con lo sguardo); l’unico modo per difendersi da questo atto era, pertanto, quello di accecare la persona malevola, magari con un oggetto a punta.

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Particolare di un graffito di una tomba egizia. È rappresentato un atto di difesa dalla affatturazione, mediante l’accecamento simbolizzato, in questo caso, da vari mezzi: chiodi o animali che colpiscono l’occhio con morsicature, punture o con il becco.

Un oggetto utile a questo scopo poteva essere il corno di un animale (da cui la pratica, ancora attuale, di portare al collo un pendaglio di cornetto di osso o di corallo come elemento protettore contro le malìe) ed ancora migliore era l’utilizzo del simbolo di entrambe le corna (così da colpire contemporaneamente entrambi gli occhi); cosa meglio delle mani, quindi, per poter esprimere con un rapido gesto questo atto scongiuratorio?

Una diversa interpretazione del gesto, quella attualmente più conosciuta, si allontana dal concetto scongiuratorio (più legato necessariamente al passato) per riferirsi invece a logiche sociali: si parla dell’atto inteso come indicatore del tradimento da parte di un coniuge.

Si dice generalmente che le origini di questo fenomeno risalgano alla leggenda del Minotauro, figlio di Pasifae e di un toro; per questo motivo il popolo avrebbe dileggiato il re Minosse, marito di Pasifae, ricordandogli con il gesto il fatto di essere “cornuto”.

È forse un’interpretazione troppo facile, che difficilmente regge ad un’analisi antropologica; innanzitutto il gesto è molto più antico, poi riguarda altre civiltà, anche precedenti alla cultura minoica.

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Nella cultura indù esiste una divinità che protegge dall’infedeltà coniugale, e la sua origine è sicuramente indipendente dal racconto mitologico minoico.

È più probabile che l’origine sia da attribuire ai tori o alle capre come animali molto frequentemente destinati ai sacrifici (anche nella cultura latina esisteva un particolare sacrificio, le suovitaurilia, in cui si immolavano agli dei un maiale, un capro ed un toro, da cui il nome del rito); è pensabile quindi che il coniuge tradito fosse considerato, alla stregua di un toro, o di un capro, come un animale “sacrificato” ai desideri dell’altro coniuge.

Da questa tradizione discende l’uso delle “pentolacce”, o “scampanate”, quella tradizione per cui in determinati momenti dell’anno (in Romagna per San Martino), ci si recava sotto le finestre delle persone notoriamente tradite facendo rumore con tamburi, pentole percosse con il mestolo ed altri attrezzi, e mostrando corna di animali.

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Un’immagine inglese della fine del settecento che illustra la tradizione del charivari anche in quel paese. In questo caso la folla schiamazzante si aggira per le strade di un paesino della campagna inglese utilizzando cavalcature, fatto estraneo nelle culture mediterranee, che probabilmente si allaccia alla tradizione della “caccia selvaggia” di origine nordica.

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In Romagna questa particolare serata viene detta la séra di bech (“la sera dei becchi”, ossia dei cornuti); ma esiste in altre parti del mondo, in ogni luogo con nomi diversi. In antropologia queste ritualità sono note come fenomeni di charivari[4].

Va notato che nella nostra cultura si sono mantenuti sia il significato scongiuratorio del gesto che quello indicante l’infedeltà, distinguendoli con una semplice differenza gestuale: le dita della mano rivolte verso il basso con un movimento alternato in verticale nel primo caso, rivolte verso l’alto con movimento da destra a sinistra nel secondo.

Molto più recente è invece la simbologia delle corna con riferimento a pratiche demoniache od a riti satanici, ed in questo caso l’analisi è abbastanza facile, data l’evoluzione, ormai ampiamente dimostrata, della figura del demonio come derivante dalle divinità pastorali (Pan, satiri ed altri) della mitologia greco-romana: la loro presunta sfrenatezza, soprattutto in fatto di questioni riguardanti il sesso, ne faceva la migliore immagine del demonio.

Da questo universo pseudo-religioso il simbolo è passato alla cultura musicale cosiddetta “di rivolta”: esistono diversi musicisti che utilizzano questa gestualità, probabilmente senza conoscerne bene né l’origine né il significato[5].

[1] Che il significato di un gesto possa variare per culture diverse è un assunto utile alla semplificazione dei concetti che esporremo, e quindi qui lo utilizziamo questo solo per semplicità di esposizione; in realtà la cosa non è proprio cosi semplice e sempre valida.

[2] L’arte è zeppa di citazioni a riguardo. Una per tutti: la “signora della notte”, personaggio del Flauto Magico di Mozart.

[3] Di questo fatto abbiamo testimonianze anche nella cultura attuale. Basti pensare alle credenze che legano la buona riuscita di alcune azioni alle fasi lunari: dal tagliarsi i capelli alle semine.

[4] Per maggiori dettagli sul fenomeno del charivari e “caccia selvaggia” e dei suoi collegamenti con le tradizioni carnevalesche e funerarie, si possono consultare i seguenti lavori, pubblicati su questo sito, alla pagina TESTI: DAL “CORTEO DEI MORTI” ALLA “NAVE DEI FOLLI”. Quando il sentimento popolare è forte il rito può cambiare,

ma non i suoi significati profondi. In Romagna si è passati dai pasquaroli al carnevale; LE ORIGINI DEL CARNEVALE. Le antiche origini di un inquietante rito solo apparentemente gioioso.

[5] Il musicista James Dio, uno dei primi a mostrare le corna durante un concerto, richiesto del perché del suo comportamento, rispose candidamente che non aveva fatto altro che copiare il gesto che aveva visto fare da sua nonna di origine italiana.