Un antico toponimo cesenate legato alla storia di Cesenatico.

Agosto 2017

Via Pontescolle è una strada del comune di Cesena (zona di Torre del Moro).

Poco conosciuta, se non agli abitanti della zona stessa, anche il sito informatico comunale dedicato alla toponomastica non riesce a fornire alcun tipo di indicazione storica su questa strada. 

In considerazione del fatto che il nome rimanda ad un’etimologia ben precisa (“ponte”) e con l’aiuto di alcune mappe[1] della zona a Nord – Ovest di Cesena che riportano alcuni toponimi molto simili, si è provato ad indagare su questa presumibilmente antica zona.

La prima mappa, con il titolo di Romagna olim Flaminia, del cartografo Giovanni Magini, datata 1597, riporta una “T. (presumibilmente “Torre”) di ponte Scola”, e la posiziona a Nord di Cesena ed ad Est del fiume Savio (ved. Tav. 1); la seconda, del 1694, di Filippo Titi (intitolata Legatione di Romagna) riporta invece una “Torre di ponte”, spostandola un po’ più ad Ovest della prima, dalla parte opposta del Savio rispetto alla precedente (ved. Tav. 2); infine la terza, una tavola corografica del 1733 di Giovanbattista Braschi (Tabula Chorografica Continens Tractum Romandiole) ricorda due ponti sul fiume, definendoli rispettivamente “Pons Matelicae” e “Pons Dirutum” (ved. Tav. 3).

Al di là dell’inevitabile imprecisione risultante dal confronto delle immagini, tipica di tutte le opere geografiche di quei periodi (il fiume Savio viene rappresentato con andamenti aventi diverse direzioni, e la “torre” risulta una volta a destra e una volta a sinistra del Savio, forse anche per una variazione dell’alveo fluviale, che, ci dice la storia geologica della zona, era soggetto a repentine quanto disastrose modifiche[2]) la datazione delle stesse ci induce a pensare all’esistenza di una località (o comunque all’esistenza di un edificio) più tardi scomparsa, distruzione del ponte relativo giustificata dalla nomenclatura della mappa stessa (il “Pons Dirutum” della Tabula Chorografica).

Dovevano esistere quindi un ponte ed una torre (forse quella poi detta “Torre del Moro”?) che identificavano un guado, un punto di attraversamento del fiume: insomma un punto che permettesse di superare il corso d’acqua (il “ponte”) a controllo del quale si riteneva forse necessario predisporre un edificio (la “torre”).

1

Tav. 1
Romagna olim Flaminia.
Mappa di Giovanni Antonio Magini. Bologna 1597.
Compare il toponimo “Torre di ponte Scola” indicato dalla freccia. Cesenatico, per quanto già esistente in quel periodo come territorio del cesenate, non compare neppure. La mancanza di indicazioni anche sul tracciato dei torrenti e dei canali a valle di Cesena ci induce a pensare che lo scopo del disegnatore non fosse quello di identificare i territori nei dintorni del cesenate. Questo modo di rappresentare l’ambiente geografico in maniera così personalizzata era tipico del periodo.

2

Tav. 2
Legatione di Romagna.
Autore Filippo Titi inventore. Stamperia di Domenico de Rossi, 1694.
Compare il toponimo “Torre di Ponte”, anche questo indicato dalla freccia. In questo caso anche i dintorni di Cesena sono più dettagliati rispetto alla mappa precedente.

3

Tav. 3
Tabula Chorografica Continens Tractum Romandiole: Ravenna usque Ariminum. Autore Giovanbattista Braschi: Ioannes Petroschi sculp. Roma: Peverorum 1733.
Anche in questo caso le frecce indicano le due località.

Per quanto riguarda la toponomastica del luogo si possono fare due ipotesi:

- “scola”, “scollo”, come una zona nella quale si trovava un ponte sotto il quale il fiume “scolava” diretto poi verso la pianura ed il mare.

Se pure il termine “colare”, o “scolare” non trova una corretta giustificazione in lingua italiana, altrettanto non si può dire per l’analogo dialettale (è ancora utilizzato il dialettale sculé per indicare lo spargersi di un corso d’acqua verso una sua destinazione finale).

- “scolle”, “scollo”, come zona nella quale si “scollinava”, “scollava”, o cioè si lasciavano definitivamente i colli per addentrarsi verso la pianura.

In questo caso il termine si presta anche ad un’interpretazione “psicologica”, identificando uno stato d’animo della gente “civile” che, andando in quei tempi dalla collina verso il mare, passava da una zona conosciuta e sicura a quella parte del territorio ritenuta zona paludosa ed infida.

Ma in che modo questa località ha avuto a che fare con la storia di Cesenatico?

Durante alcune ricerche storiche sulla Chiesa di San Nicolò di Cesenatico[3] (comunemente nota nel paese come “la chiesa dei Cappuccini”) è stato ritrovato un documento che riporta la frase: “…. per la costruzione della Chiesa venne inizialmente utilizzato materiale proveniente dalla demolita torre di Pontiscolle, a Cesena [4] ...”.

Non sappiamo quanto il fatto sia vero, o piuttosto nasconda il tentativo di far valere un preteso diritto di precedenza sulla chiesa e l’annesso convento da parte della comunità cesenate, avente lo scopo di strappare l’edificio al desiderio dell’amministrazione comunale di Cesenatico di trasformarlo in un luogo laico[5].

Erano infatti anni di attrito tra i religiosi e l’amministrazione comunale cesenaticense, che nel 1872 propose di eliminare l’insegnamento religioso dalle scuole elementari, ed anche di qualche contrasto tra Cesenatico e Cesena, dovuto allo strascico delle polemiche legate alla decisione della città rivierasca di trasformarsi in “comune autonomo”.

A seguito di questi fatti Cesena tentò in tutti i modi possibili di valere le sue pretese con documenti storici, tra cui, ad esempio, quello che ricordava una donazione di 150 scudi, avvenuta nel 1614, dei magistrati di Cesena ai frati della stessa città, per costruire una nuova sede religiosa a Cesenatico, di cui il Cardinale Michelangelo Tonti benedisse l’avvio della costruzione[6], questione ricordata, non molto anni fa, da un lavoro di Monfardini[7], o il ricordo di un certo “… Melchiorre Rainaldo Patrizio di Cesena e Canonico che per primo piantò qui questo albero utile alla germinazione di frutti della penitenza”…>[8].

In questa diatriba si inserì anche il papa Pio VII, che nominò erede del convento suo nipote Scipione Chiaramonti[9], il quale si oppose, nel 1866, alla trasformazione del convento in scuola, come era stato proposto dall’amministrazione di Cesenatico; il Chiaramonti riuscì a far valere il suo diritto di proprietà sul convento, riuscendo così ad annullare l’ingiunzione del sottoprefetto affinché i Cappuccini lasciassero Cesenatico, allontanamento che, d’altro canto, era osteggiato della maggioranza della popolazione del paese.

Si termina con una precisazione.

Non essendo l’autore un esperto di cartografia e toponomastica, non si ha la pretesa di proporre una soluzione al problema, ma solo di porre una questione all’analisi di persone più competenti in queste materie.

[1] Tratte dal volume di S. Faini, L. Majoli: La Romagna nella cartografia a stampa dal Cinquecento all’Ottocento. LUISE’ Editore, Rimini, 1992

[2] Che il Savio abbia subìto, nel passato anche non molto lontano, diverse modifiche (anche disastrose) del suo alveo, e proprio da quelle parti, rimane testimoniato dal detto romagnolo: È magna piò lò che e’ fiom pet a Marturen (“Mangia più lui che il fiume davanti a Martorano”).

[3] Ricerche che sono confluite nel volume: Cesenatico e i Cappuccini, Edizioni Stilgraf, Cesena, 2014.

[4] Stato personale e locale della Provincia Cappuccina di Bologna, pag 112, anno 1864, presso Archivio Capp. di Bologna. Nelle memorie storiche di Giovanni Urtoller, Canonico della Cattedrale di Cesena, si legge che l’Oratorio di Santa Maria del Suffragio venne fondato nel 1644 in località “Villa Pontescollo”. Tale località è anche indicata in un bando del 1635 relativo a prescrizioni per la vendemmia, assieme alle località di San Bartolomeo, Visano, Cerchia S. Gillo. (Dott.ssa Veronica Pari, comunicazione personale).

[5] Esistono numerosi documenti, sia tra quelli ecclesiastici che tra gli archivi dell’amministrazione comunale, che provano l’esistenza di uno scontro politico, riguardante la Chiesa di S. Nicola, tra laici ed religiosi, scontro che andava al di là delle semplici pratiche burocratiche.

[6] Secondo P. Donato da Persiceto, op. cit. pag. 291, la posa della prima pietra è del 14 Giugno 1614.

[7] B. Monfardini: Gli ordini religiosi maschili (sec. XV – XX), in: Storia della Chiesa di Cesena, a cura di Marino Mengozzi, Ediz. Stilgraf, Cesena 1998, pag 428.

[8] C. A. Andreini: Cesena Sacra, cioè de li suoi Vicariati delle Diocesi, e rispettive parrocchie rurali. Il tutto ricavato dal Manoscritto del Mons. Franco Aguselli. Anno 1807, Arch. 164. 33.6. A, Biblioteca Malatestiana, Cesena.

[9] P. Donato da S. G. in P., op. cit. pag. 315.